sabato 27 dicembre 2008

IL "PROTOCOLL" HOSSBACH: LA DISTRUZIONE DI UNA LEGGENDA
Das Hossbach-"Protokoll": Die Zerstoerung einer Legende, di Dankwart Kluge, Druffel Verlag, 1980, 168 pagine. Recensito da Mark Weber (1983)[1]Hitler, ci è stato detto ripetutamente, si era proposto di conquistare il mondo, o almeno l'Europa. Nel grande Tribunale postbellico di Norimberga, gli Alleati vittoriosi cercarono di provare che Hitler e i suoi accoliti intrapresero una sinistra "Cospirazione per condurre una guerra di aggressione". Il reperto di prova più importante per sostenere tale accusa fu ed è un documento conosciuto come il "Protocollo Hossbach" o "Memorandum Hossbach".Il 5 Novembre del 1937, Hitler riunì pochi alti ufficiali per una conferenza nella cancelleria del Reich a Berlino: il Ministro della Guerra Werner von Blomberg, il Comandante dell'Esercito Werner von Fritsch, il Comandante della Marina Erich Raeder, il Comandante dell'Aviazione Hermann Göring, e il Ministro degli Esteri Konstantin von Neurath. Era presente anche il Colonnello conte Friedrich Hossbach, aiutante di Hitler.Cinque giorni dopo, Hossbach scrisse a memoria un resoconto non autorizzato della riunione. Egli non aveva preso note durante la conferenza. Hossbach affermò dopo la guerra di aver chiesto due volte a Hitler di leggere il memorandum, ma il Cancelliere replicò che non aveva tempo. A quanto pare nessuno degli altri partecipanti conobbe mai l'esistenza del resoconto della conferenza fatto dal Colonnello. Né considerarono tale riunione particolarmente importante.Pochi mesi dopo la conferenza, Hossbach venne trasferito ad altro incarico. Il suo manoscritto venne archiviato insieme a molti altri documenti e dimenticato. Nel 1943 il Colonnello conte Kirchbach, ufficiale di stato maggiore, trovò il manoscritto e ne fece una copia per sé stesso. Kirchbach lasciò l'originale di Hossbach in archivio e diede la copia in suo possesso a suo cognato, Victor von Martin, per sicurezza. Poco dopo la fine della guerra, Martin consegnò tale copia alle autorità alleate di occupazione, che la utilizzarono per produrne una versione sostanzialmente alterata come prova d’accusa a Norimberga. Vi si introdussero frasi inventate come quelle che attribuiscono a Hitler la seguente affermazione: "La questione tedesca può essere risolta solo con la forza". Ma soprattutto, il documento presentato a Norimberga è lungo meno della metà del manoscritto di Hossbach. Sia l'originale scritto da Hossbach che la copia appartenuta a Kirchbach e a Martin sono totalmente (e opportunamente) scomparsi. Secondo il documento attribuito a Hossbach e presentato a Norimberga " e da allora largamente citato " Hitler disse ai presenti che le sue considerazioni dovevano essere viste come un “testamento finale” nel caso dovesse morire. La parte più incriminata cita Hitler come se avesse detto che le forze armate avrebbero dovuto agire, al più tardi nel 1943-45, per conquistare lo “spazio vitale” ("Lebensraum") di cui la Germania aveva bisogno. Ma se la Francia si fosse indebolita a causa di una crisi interna prima di quell’epoca, la Germania doveva agire contro la Repubblica Ceca (Boemia e Moravia). O, se la Francia fosse rimasta invischiata nella guerra (con l'Italia) in modo tale da non poter attaccare la Germania, allora la Germania si sarebbe dovuta impadronire contemporaneamente della Repubblica Ceca e dell’Austria. I presunti riferimenti di Hitler allo "spazio vitale" riguardano solo l'Austria e la Repubblica Ceca.Quando Hitler andò al potere nel 1933, la Germania era militarmente alla mercè di potenze straniere ostili. Il riarmo era iniziato lentamente e all'inizio del 1937, a causa della mancanza di materie prime, i tre rami dell'esercito dovettero ridurre le spese. Tra i detti rami scoppiò una furibonda controversia per accaparrarsi le risorse rimanenti.Contrariamente a quanto suggerito dal protocollo Hossbach, Hitler convocò la conferenza del 5 Novembre del 1937 in parte per indurre alla riconciliazione i vertici militari in lite, e in parte per riprendere il programma di riarmo della Germania. La politica estera era solo una questione accessoria. Hitler cercò di giustificare il bisogno di ricostruire la forza militare tedesca presentando, in modo esagerato e ipotetico, diverse situazioni di crisi all’estero che avrebbero richiesto un'azione militare, nessuna delle quali si verificò davvero. Hitler non annunciò un nuovo corso della politica estera tedesca, ancora meno un programma di guerra aggressiva.A Norimberga Göring testimoniò che Hitler gli aveva detto privatamente poco prima della conferenza che lo scopo principale della convocazione di tale riunione era di "mettere pressione al Generale von Fritsch, poiché egli (Hitler) era insoddisfatto delle operazioni di riarmo". Raeder confermò la dichiarazione di Göring.Come altri conservatori aristocratici e tradizionalisti, Hossbach diventò un aspro oppositore di Hitler e del regime nazionalsocialista. Fu intimo amico del Generale Ludwig Beck, che venne giustiziato nel 1944 per il suo ruolo direttivo nel complotto che cercò di uccidere Hitler e di rovesciarne il governo. Nonostante le sue smentite dopo la guerra, è praticamente certo che Hossbach preparò la sua tendenziosa versione della conferenza su impulso di Beck, per screditare il regime di Hitler dopo un colpo di stato. Hossbach era anche vicino all'Ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del servizio segreto militare, e del Generale Ziehlberg, entrambi giustiziati anch'essi per il loro ruolo nel complotto del 1944. Ancora all’inizio del 1938 Hossbach, Beck e Canaris erano a favore di un colpo di stato per rovesciare Hitler.Il memorandum Hossbach viene spesso citato in libri di storia divulgativi come prova definitiva dei piani di Hitler per una guerra aggressiva. Un buon esempio è l'inaffidabile bestseller di William Shirer Ascesa e caduta del Terzo Reich, che presume che il protocollo registrasse il "punto di svolta decisivo del Terzo Reich". Su questa fatidica conferenza, Shirer ha scritto: "…Il dado era tratto. Hitler aveva comunicato la sua decisione irrevocabile di entrare in guerra. Per il pugno di uomini che l'avrebbero diretta non vi poteva essere più alcun dubbio". Come molti altri pubblicisti germanofobi, Shirer cita in modo ingannevole il memorandum Hossbach come un resoconto attendibile. Egli distorce persino la reale importanza militare dei partecipanti della conferenza. Dei cinque ufficiali di vertice presenti, tre (Blomberg, Fritsch, Neurath) persero il posto nel giro di pochi mesi. Raeder venne sostituito come Comandante della Marina nel Gennaio del 1943. Solo Göring era davvero vicino a Hitler. Il ruolo importante del fraudolento protocollo Hossbach al Tribunale di Norimberga è un’altra schiacciante conferma del carattere illegittimo, da processo-show, di questa performance giudiziaria così spettacolare.Sulla base di tale protocollo, che divenne il documento di Norimberga 386-PS, l'atto d'accusa del Tribunale dichiarò: "Un influente gruppo di cospiratori nazisti si riunì assieme a Hitler il 5 Novembre del 1937 per discutere la situazione. Ancora una volta venne sottolineato che la Germania doveva avere il proprio spazio vitale nell'Europa centrale. Essi riconobbero che tale conquista avrebbe probabilmente incontrato delle resistenze, liquidabili con la forza, e che tale decisione avrebbe probabilmente condotto a una guerra generale". Il pubblico ministero americano Sidney Alderman disse al Tribunale che il memorandum ("Uno dei documenti sequestrati più impressionanti e rivelatori") aveva tolto ogni dubbio sulla colpevolezza dei leader tedeschi per i loro crimini contro la pace. Esso funse anche da fondamento alla conclusione dei giudici di Norimberga che la "Cospirazione per condurre una guerra d'aggressione" da parte della Germania ebbe inizio con la conferenza del 5 Novembre 1937. Il documento fu decisivo per la condanna di Göring, Neurath e Raeder per il loro ruolo nella "cospirazione criminale". Lo spurio protocollo Hossbach è fin troppo tipico del genere di prove utilizzate dagli Alleati vittoriosi a Norimberga per legittimare l'imprigionamento e le uccisioni giudiziarie degli sconfitti leader tedeschi.Non c'è dubbio, ora, che il protocollo Hossbach sia privo di valore come documento storico. Dopo la guerra sia Hossbach che Kirchbach dichiararono che la versione utilizzata dall'accusa era molto differente dal manoscritto che essi ricordavano. Hossbach testimoniò anche a Norimberga di non poter confermare che la versione utilizzata dall'accusa fosse del tutto corrispondente al manoscritto che aveva redatto nel 1937. E nelle sue memorie ammise che, in ogni caso, Hitler non aveva descritto nessun tipo di "piano di guerra" nel corso della riunione. A Norimberga, Göring, Raeder, Blomberg e Neurath denunciarono tutti il protocollo Hossbach come un travisamento grossolano della conferenza (Fritsch era morto). Il protocollo riguarda solo la prima parte della riunione, distorcendo così il suo vero carattere. Il memorandum si conclude con la semplice frase: "La seconda parte della conferenza riguarda le questioni sugli armamenti materiali". Non vengono forniti dettagli. Nel 1968 Victor von Martin descrisse il memorandum con queste parole: "Il protocollo presentato alla corte di Norimberga venne assemblato in modo tale da cambiare totalmente il significato [dell’originale] e può essere definito perciò solo come una grossolana falsificazione".Quando scrisse il suo studio pionieristico Le origini della seconda guerra mondiale, A. J. P. Taylor accettò il memorandum Hossbach come un resoconto fedele della riunione del 5 Novembre del 1937. Ma nella sezione dei “Ripensamenti” aggiunti alle edizioni successive, il rinomato storico inglese ammise di essere stato inizialmente "abbindolato" dalla "leggenda" del documento. Questa conferenza presuntamente cruciale fu in realtà "una manovra di politica interna". Il protocollo stesso, osservò Taylor, "non contiene direttive per azioni [militari] oltre al desiderio di una crescita degli armamenti". Egli osservò tristemente che "quelli che credono nei processi politici possono continuare a citare il memorandum Hossbach". H. W. Koch, docente all'Università di York (Inghilterra) smantellò ulteriormente la leggenda in un articolo del 1968 in cui concludeva che il famigerato protocollo "sarebbe stato inammissibile in ogni altro tribunale eccetto all'infuori del Tribunale di Norimberga".Dankwart Kluge ha fornito un valido contributo alla nostra comprensione delle origini della seconda guerra mondiale. Il suo studio rimarrà per molti anni come l'esame più autorevole di una grande truffa documentaria. Quest'opera affascinante include il testo completo del protocollo Hossbach, come pure un’appendice, quattro foto, e un'esauriente bibliografia. L'autore è nato nel 1944 a Breslau (Wroclaw), in Slesia. Dal 1974 ha lavorato come avvocato a Berlino Ovest. Kluge ha compiuto un lavoro ammirevole nel raccogliere il proprio materiale, che non è tratto solo da tutte le fonti documentarie disponibili, già pubblicate e non, ma anche da numerose interviste personali e dalla corrispondenza con testimoni-chiave. Kluge argomenta la propria tesi in modo irresistibile, sebbene lo stile narrativo sia un po' debole. Questo studio importante non lascia dubbi che il protocollo tanto reclamizzato sia in realtà una revisione falsificata di una copia non autenticata di un originale non autorizzato, che è scomparso. Harry Elmer Barnes, a cui l'opera è dedicata, l'avrebbe gradita di cuore.[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.ihr.org/jhr/v04/v04p372_Weber.html
Pubblicato da Andrea Carancini a 11.49

giovedì 11 dicembre 2008

NON C’E’ MAGGIOR SORDO DI CHI NON VUOL SENTIRE
I casti divi e l’Olocausto
di Filippo Giannini

Questo articolo è indirizzato alla folta schiera di italiani truffati da questo regime di incapaci, di corrotti i quali per sopravvivere hanno la necessità di stravolgere la storia dell’unico Governo, dall’Unita’ ad oggi, che abbia governato in modo efficiente, senza ruberie e realmente rivoluzionario tutto teso a portare il vero socialismo, quello che non aveva bisogno di Karl Marx.
Fra le menzogne più care da addossare a Benito Mussolini, c’e’ quella di essere stato complice dello sterminio di 6 milioni di ebrei, sempre che questo avvenimento corrisponda alla verità storica. Ebbene su questo argomento ho raccolto una tale massa di documenti da tacitare i vari casti divi e, di conseguenza il piccolo Badoglio, oggi circonciso e sindaco di Roma e chiunque altro che ne dubitasse l’asserto. Non Roosevelt (che inviò la sua fleet per cannoneggiare un piroscafo carico di ebrei fuggiti nel 1939 da Amburgo), non Churchill che ordinò di silurare a Salinas un’altro carico di ebrei qualora non avesse invertito la rotta, non Stalin che, secondo quanto ha scritto lo storico russo Arkaly Vaksberg, “Stalin against Jews”, un libro particolarmente importante nel quale l’Autore sostiene “dopo accurate ricerche in archivi riservati, che il numero degli ebrei eliminati da Stalin è stato presumibilmente 5 milioni”, solo Mussolini… Sì, solo lui…. Ai lettori non sembra, perlomeno sospetto, che si citino costantemente quegli ebrei che sarebbero stati sterminati da Hitler e mai quelli eliminati per ordine di Stalin? Perché? D’altra parte anche le cifre si equivalgono.
E allora, citando due sentenze, l’una di Pacifici della Comunità ebraica che ha dichiarato: , giudizio particolarmente pesante e infamante, e l’altra di Giorgio Pisanò (“Noi fascisti e gli ebrei”, pag. 19) che ha scritto: .
Sono due giudizi contrapposti espressi da due personaggi chiaramente schierati, quello di Pacifici sorretto da tutta una Comunità; quello di Pisanò al quale non possiamo non riconoscere la capacità di indagine e la capacità di presentare la storia corroborata da ricca documentazione.
Chi dei due ha ragione?
Per questa indagine cercheremo di seguire una certa logica per rientrare in uno spazio ragionevole. In caso contrario saremo costretti a scrivere un altro libro, data l’ampiezza dell’argomento. Anche in questo caso, ripetiamo, come è nostro costume ci avvarremo di scritti di autori non certamente fascisti.
Già il 13 ottobre 1937 Bernard Show nel corso di una intervista al Manchester Guardian profetizzò: . Infatti le nuove idee che partivano dall’Italia fascista si stavano espandendo in tutto il mondo; nascevano ovunque movimenti o partiti di ispirazione fascista, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna (con oltre 100 mila iscritti) all’Australia, dall’Argentina alla Norvegia e così di seguito. Sembrava che, una volta ancora, l’Italia fosse ispiratrice di un nuovo messaggio universale di sapore rinascimentale: il Rinascimento del lavoro. Queste nuove idee, portavano in sé un difetto: mettevano in pericolo il sistema capitalistico allora vigente e padrone. Quindi l’Italia fascista doveva scomparire.
Secondo Rutilio Sermonti (“L’Italia nel XX secolo”), . Era necessario, pertanto, portare l’Italia a fianco della Germania e, quindi, eliminare in un colpo i due “pericoli”.
Conclude Sermonti: .
Esaminiamo ora le opinioni di alcuni personaggi che vissero quell’epoca e che non è possibile definirli fascisti.
E’ noto (per chi conosce l’a,b,c della storia) che i due provvedimenti a favore degli ebrei enunciati nel 1930 e perfezionati nel 1931 risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E se il 95% degli italiani erano per Mussolni, questa percentuale raggiungeva quasi il totale nella comunità ebraica; senza contare i numerosi ministri ebrei chiamati a collaborare con lui al governo.
E’ altrettanto noto l’attacco lanciato dal Duce contro alcune teorie nazionalsocialiste, nel corso della visita alla città di Bari. Nel pomeriggio del 6 settembre 1934, dal balcone del palazzo del Governo Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: .
Pertanto sino ad allora non esisteva alcuna pregiudiziale anti ebraica nell’animo di Mussolini. E allora, come si giunse alle (certamente) odiose leggi razziali?
Nella guerra d’Etiopia (di cui ci sarebbe da parlare ampiamente) la Società delle Nazioni guidata, incredibilmente, dalla più imperialista delle Nazioni, impose le sanzioni all’Italia. La Germania non si associa e continua ad intrattenere ottimi rapporti con l’Italia. 1936. Scoppia la guerra civile spagnola; ancora una volta i Paesi capitalisti si schierano, con l’Unione Sovietica contro l’Italia che collabora con Francisco Franco. Di nuovo la Germania è accanto all’Italia. E questo nonostante che Stalin avesse sarcasticamente annunciato che una volta conquistata l’Europa sino alla penisola iberica, avrebbe tolto le croci nei cimiteri e persino nelle bare.
In questa fase storica risulta chiaro che si stavano definendo due schieramenti: uno di carattere democratico-capitalistico, guidato principalmente da Gran Bretagna, da Francia e anche se da lontano e in forma marpiona dagli Stati Uniti di Roosevelt; l’altro da Germania e Italia. Tuttavia Mussolini non gradiva questa amicizia con il Führer di cui diffidava fortemente la politica e, di conseguenza cercava di svincolarsi; con questo intento il 22 giugno 1936 rilasciò una (molto poco ricordata) intervista all’ex ministro francese Malvy, nella quale ribadiva la propria disponibilità a collaborare con la Francia e con l’Inghilterra: . Questa preziosissima testimonianza viene riportata da E. Bonnifour nella Histoire politique de la troisième republique.
Altri attestati della volontà dei Paesi liberalcapitalisti di affiancare l’Italia alla Germania per poi annientarli insieme, ci vengono forniti da Winston Churchill e dallo storico inglese George Trevelyan. Il primo (La Seconda Guerra Mondiale”, Vol. 2°, pag. 209): . Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, ha scritto: .
La storia stava così trascinando l’Italia alla (R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, pag. 137). Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime diffidenze tedesche, anche nel ricordo del “tradimento italiano del 1915” e giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle circostanze. Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della scelta del Duce. E questo viene confermato dal più attento studioso del fascismo che osserva: . Oppure come ha scritto Meir Michaelis: .
Anche se quanto sin qui scritto è solo una parte del percorso che portò l’Italia di Mussolini all’emanazioni delle leggi razziali, il Duce per renderle il meno dolorose possibili, fra l’altro impose di “discriminare non perseguire, oltre a lasciar aperte numerose scappatoie per cui si giunse a situazioni paradossali, come il caso denunciato dal giornalista Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: . Vicini dopo aver elencato decine e decine di nomi di ebrei (e non solo ebrei, ma anche di comunisti) che fuggivano in Italia, cita anche un nome che dovrebbe essere ben conosciuto ai telespettatori italiani, perché spessissimo presente nelle trasmissioni televisive: quello di Edward Luttwak. Una domanda si presenta spontanea: “Erano tutti pazzi a rifugiarsi in un Paese dove vigevano le leggi razziali, oppure i fuggitivi ben sapevano che quelle leggi erano poco meno che una farsa”? Alla fine dell’articolo il giornalista Vicini esclama:.
I lettori che volessero approfondire l’argomento, ma l’invito va esteso anche all’”imprevedibile” ex fascista Gianni Alemanno, possono leggere il nostro libro “Uno scudo protettore”. “Scudo protettore” è una espressione dello storico ebreo Léon Poliakov per indicare la protezione posta in essere da Benito Mussolini a favore degli ebrei. Ebrei non solo italiani, ma: (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220). Questo scudo si ergeva, quindi, non solo in Italia, ma in Croazia, in Grecia, in Egeo, in Tunisia, in poche parole ovunque penetrassero le truppe fasciste.
Il libro contiene un centinaio di documenti di come venne messo in atto lo scudo, nonché studi di storici che attestano la validità dei documenti. Nomi come Rosa Paini (ebrea) (“Il Sentiero della Speranza”, pag. 22): .
Come Mordechai Poldiel (israelita): .
Israel Kalk (ebreo) “Gli ebrei in Italia durante il Fascismo”: <(…). Siamo stati trattati con la massima umanità> e, ricordando gli altri internati: .
O anche Salim Diamand (Internment in Italy – 1940-1945), ebreo. .
Oppure l’opinione dell’autorevole docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse (ebreo), nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: .
Si giunse, così, al 25 luglio 1943, e seguì il crucked deal (lo sporco affare, termine usato da Eisinhower per indicare l’armistizio dell’8 settembre), ma anche in quei poco più di 40 giorni del governo Badoglio le leggi antiebraiche non furono annullate. Seguì la fuga del re, di Badoglio e dello Stato Maggiore lasciando gli italiani, l’esercito ed è ovvio, anche gli ebrei in balia dell’ira tedesca. Fu una fortuna per l’Italia tutta che Mussolini subentrò formando un nuovo Governo e pararsi di nuovo come scudo tra la rabbia dell’alleato tradito e gli italiani tutti. Ma la presenza tedesca era pressante specialmente agli inizi quando, cioé Mussolini stava organizzando la nuova struttura del suo Governo. Fu in quei giorni, ed esattamente il 16 ottobre 1943 che i tedeschi effettuarono un rastrellamento nel ghetto di Roma catturando più di mille ebrei che, ripetiamo, sino ad allora erano stai protetti dallo scudo. Ebbene, finalmente i tedeschi ebbero la possibilità di mettere in atto quanto sino ad allora era stato proibito. Ma non tutto andò secondo le previsioni. Qualche lettore potrebbe pensare che sul posto ci fossero dei partigiani per difendere quegli infelici; ma quando mai! I tedeschi si trovarono di fronte un uomo in camicia nera, Ferdinando Natoni (che la storiografia dimentica di citare). Ecco la testimonianza della figlia Anna; il padre, mentre la retata era in corso, si precipitò in strada e, avvalendosi della qualifica di “fascista”, pretese dalle SS la restituzione degli ebrei catturati nel suo edificio. Cosa che avvenne. La Signora Anna ci ha detto che il padre morì a 96 anni e ci ha pregato di ricordare che “non rinnegò mai la sua fede”. Questa testimonianza potrebbe essere uno schiaffo ai tanti casti divi, Alemanno, Fini fra questi.
Altri nomi meritano di essere citati accanto a quello di Natoni: Perlasca (fascista), salvò la vita ad alcuni migliaia di ebrei in Ungheria; Zamboni (fascista) riuscì a far fuggire da Salonicco centinaia di ebrei; Palatucci (fascista) ne salvò alcune migliaia a Fiume; Calisse (fascista) operò in Francia e fece fuggire diverse decine di ebrei. Non dimentichiamo il fascistissimo Farinacci che nascose una famiglia di ebrei nella sua tipografia; e il futuro segretario del Msi, Almirante che ne nascose alcuni nel Ministero dove lavorava. Potremmo citare altri casi e nomi, ma non possiamo abusare oltre. Mentre si svolgevano questi fatti, gli antifascisti e i partigiani che facevano? Essi tramavano. E Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele? Questo meriterebbe un articolo a parte: egli aveva bisogno della morte dei suoi correligionari per poi pretendere in cambio la Palestina, fregandosene altamente se in quella terra vivevano da secoli altri esseri umani.

Renzo De Felice osserva (op. cit. pag. 447): .
Su questo argomento si trova una nuova interessante testimonianza di Primo Levi le cui memorie vengono in parte riportate su L’Espresso del 27 settembre 2007. Levi ricorda che fu arrestato il 13 settembre 1943 e trasferito ad Aosta nella caserma della Milizia Fascista. Levi e altri suoi correligionari furono affidati al Centurione Ferro, il quale, saputo che . Primo Levi e gli altri furono sospettati di essere partigiani; ecco cosa scrive Levi: .
Dobbimo terminare non certo per mancanza di argomenti, ma per motivi di spazio. Però prima di chiudere desideriamo ricordare un altro fatto mai citato, ovviamente, dai vari casti divi e cioè quella legge del 1938 che concedeva parità di diritti e doveri ai libici. In pratica i libici divenivano cittadini italiani a tutti gli effetti. Erano chiamati “Gli italiani della Quarta Sponda”. Fu un caso unico nella storia del colonialismo mondiale, ma fu anche questo uno dei motivi per cui i Paesi imperialisti ci costrinsero alla guerra: questi vedevano le colonie come esclusivo luogo di sfruttamento, al contrario di come il Governo italiano stava impostando la sua politica coloniale.
Questo era il razzismo fascista, o signori!
Quindi, e concludiamo, non ci rivolgiamo ai casti divi Alemanno, Fini e compagni, non vale la pena citarli, ma al rabbino Pacifici: se quanto scritto è vero, perché invece di portare tanti poveri, ignari giovani in giro per l’Europa allo scopo di alimentare odio, non sarebbe invece più onesto portarli a pregare su quella tomba a Predappio?
Un atto di Giustizia… anche se tardivo!

venerdì 5 dicembre 2008

Leggete attentamente questo scritto e ditemi se non è una delle tante "profezie" che il più grande statista italiano di tutti i tempi ha donato al suo popolo e al mondo intero! La Terza Via, il socialismo nazionale, l'idea che fu fermata dalle plutocrazie mondialiste, da una razza di mercanti senza onore e senza Dio, oggi torna prepotentemente a segnare i destini dell'umanità! Prepariamoci camerati a essere degni della sua memoria e del suo genio.
"Camerata Gil"


<<…….la crisi è penetrata così profondamente nel sistema
che è diventata una crisi del sistema.
(…) Oggi possiamo affermare che il modo di produzione
capitalistica è superato e con esso la teoria del liberismo
economico che l’ha illustrato ed apologizzato. Le stesse
dimensioni dell’ impresa superano la possibilità dell’uomo;
prima era lo spirito che aveva dominato la materia, ora è
la materia che piega e soggioga lo spirito.
Giunto a questa fase il supercapitalismo trae la sua giustificazione da questa utopia: l’utopia dei consumi illimitati.
L’ideale del supercapitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. Il supercapitalismo
vorrebbe che tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza,in modo che si potessero fare delle culle standardizzate;vorrebbe che i bambini desiderassero gli stessi giocattoli,che gli uomini andassero vestiti della stessa divisa,che leggessero tutti lo stesso libro(….)
Oggi noi seppelliamo il liberismo economico. Noi abbiamo
respinto la teoria dell’uomo economico, la teoria liberale,e
ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire
che il lavoro è una merce.
L’uomo economico non esiste, esiste l’Uomo integrale che è politico, che è economico,che è religioso che è guerriero.>>


Benito Mussolini, scritti da “Dottrina del Fascismo”,
14- X1- 1933, vol. V111, pag.259 sgg.

giovedì 4 dicembre 2008

I CRIMINI DELLE BRIGATE EBREE

domenica 30 novembre 2008

Rubrica di storia de LA VOCE NAZIONALEIl 28 novembre di 66 anni fa, alle 7,34 del mattino, sulla forca del carcere maltese di Corradino, moriva l’ultimo martire irredentista italiano: Carmelo Borg Pisani. Come nel caso di altri famosi eroi del Risorgimento quali Cesare Battisti e Nazario Sauro –tanto per citare i più noti tra quelli del periodo della Prima guerra mondiale, immolatisi nel nome dell’italianità della loro terra natale – la figura di questo giovane artista, che sognava la liberazione della sua isola dal dominio britannico, è molto controversa.Abbandonati pennello e tavolozza, nel 1940 aveva fatto domanda di arruolamento volontario nelle forze armate di quella che lui riteneva la sua vera patria, consapevole che tale scelta, agli occhi dei suoi concittadini, allora sudditi britannici, lo avrebbe bollato come traditore. Membro della milizia dall’aprile 1941, dopo aver prestato servizio in Grecia, in vista della pianificata, ma poi non tentata, occupazione di Malta, nei primi mesi del 1942 si era offerto di compiervi una missione informativa conclusasi dopo due soli giorni il 20 maggio con la cattura e il riconoscimento.Accusato di alto tradimento, il 19 novembre 1942 la corte marziale lo condannò alla pena capitale mediante impiccagione. Alla sua memoria, nel giugno 1943, fu decretata da Vittorio Emanuele III la Medaglia d’oro al valor militare. Da allora in poi fu considerato in Italia un eroe irredentista e a Malta, anche se non da tutti, un traditore. Finita la guerra Borg Pisani fu quasi del tutto dimenticato: a lui non arrise la fortuna di sopravvivere nella memoria del popolo di cui si sentiva parte come invece accaduto per Battisti, Filzi, Chiesa e Sauro, sudditi austriaci, arruolatisi nell’esercito italiano ed assurti poi al ruolo di eroi del nostro Risorgimento: eppure la causa era la stessa… Ma a sessantacinque anni dal suo sacrificio non c’è unanimità, né in Italia né a Malta, sulla valutazione della figura di Borg Pisani, dei cui resti mortali sembra si siano perse le tracce. Alcuni affermano che è un eroe della causa di una Malta indipendente, altri che era solo un fantoccio nelle mani del Fascismo…Il giudizio rimane aperto anche a Malta, dove qualcuno ha chiesto un riesame della condanna, perchè Borg Pisani, quando sbarcò a Malta in missione di guerra, aveva di fatto ripudiato la sua sudditanza all’Inghilterra e quindi doveva essere considerato prigioniero di guerra. Altri, rivendicando per i resti mortali di Borg Pisani una degna sepoltura, anche solo simbolica, hanno sottolineato come i diritti personali degli individui non vengano meno istantaneamente con l’evento morte e come spesso la Dottrina e la Giurisprudenza abbiano ricostruito una capacità giuridica del defunto che durerebbe al di là della vita; come le norme a tutela del cadavere, il diritto alla tomba, la tutela dell’onore dei defunti, debbano considerarsi norme protettive della personalità e non già di una cosa materiale.Insomma, un giusto sepolcro, un monumento ai caduti, dovrebbero essere il minimo riconoscimento che la coscienza civile comune possa attribuire al gesto di chi ha dato la vita in onore della patria; ciò per tutti e a maggior ragione per Borg Pisani che fu facile vittima dell’incompetenza, della superficialità e della cattiva coscienza di chi, più o meno consapevolmente, lo mandò incontro alla morte.A distanza di tanti anni c’è da chiedersi come mai Malta non rivendichi ancora Borg Pisani come eroe della propria indipendenza dalla Gran Bretagna, quando anche il socialista Dom Mintoff tanti anni fa così si esprimeva a riguardo: «Borg Pisani non era un volgare avventuriero che vendeva i suoi servigi alla parte vincente: era un tranquillo giovane artista infiammato di uno spericolato idealismo. Affrontò il patibolo in pace con Dio e con la sua coscienza. Malta non si vergogna di averlo come uno dei suoi figli sfortunati.» La storia della medaglia d’oro maltese – il caso più noto di missione in territorio nemico – è adesso puntualmente ricostruita, senza retorica e sulla base di una vasta documentazione, da Stefano Fabei in Carmelo Borg Pisani. Eroe o traditore? Libro pubblicato dall’Editrice Scarabeo di Bologna con un’introduzione di Franco Cardini e la presentazione del professor Guido de Marco, Presidente emerito della Repubblica di Malta.
CAMERATA CARMELO BORG PISANI,
PRESENTE!!!!

martedì 18 novembre 2008

Magnifico pezzo dei SAGA - The snow fell

domenica 16 novembre 2008

giovedì 6 novembre 2008

Domenica 2 novembre u.s. é "andato avanti", a Milano, il Camerata DOMENICO LECCISI. Ormai ottantottenne fu colui che tra il 22 ed il 23 aprile del 1946 trafugò con altri due Fascisti repubblicani la salma di Benito Mussolini dal cimitero milanese del Musocco. Le spoglie del Duce vennero consegnate al convento di Sant'Angelo, poi trasportate nel convento dei cappuccini di Cerro Maggiore, presso Legnano, dove rimasero custodite fino al 1957 quando finalmente il governo italiota di allora le restituì alla famiglia per la traslazione a Predappio. Il Camerata Leccisi, avvocato, fu anche parlamentare del MSI dal 1953 al 1963 quando criticando la deriva di Destra della segreteria Michelini fu ritenuto "eretico" e pertanto "non degno" dell'iscrizione ! Domenico Leccisi era "uno di noi", uno che ha sempre creduto nella sostanza del Socialismo Nazionale proprio del Fascismo.
Camerata Leccisi: PRESENTE !

mercoledì 29 ottobre 2008

LA FABBRICA DELLE MENZOGNE E DELLE CALUNNIE
di Filippo Giannini
<Sarei grandemente ingenuo se chiedessi di essere lasciato tranquillo dopo morto. Attorno alle tombe dei capi delle grandi trasformazioni che si chiamano rivoluzionari, non ci può essere pace. Ma tutto quello che fu fatto non potrà essere cancellato>.
Questa scritta è incisa nel marmo e posta nella cripta dei Mussolini a Predappio.

***
Ci risiamo: si profila un nuovo tentativo dei soliti quaquaraqua (sempre più ladri, sempre più incapaci, sempre più corrotti), di demonizzare l’unico Governo che guidò il Paese senza che, alla fine, lasciasse dietro di se strascichi giudiziari.
E’ di questi giorni la notizia che un ente televisivo stia preparando un filmato incentrato su Ida Irene Dalser, amante di Mussolini e sul frutto della loro relazione: Benito Albino.
Abbiamo seri motivi per ritenere che, come è di regola, tutto sarà falsato, distorto, perché “Mussolini deve morire perpetuamente”.
Proponiamo, allora, un breve excursus storico.
Qualche tempo fa sul settimanale Oggi è apparso un presunto scoop del giornalista Gennaro Di Stefano il quale ha sostenuto che Mussolini percepiva migliaia di miliardi (al valore di oggi) tramite mazzette riconosciutegli dalla Standard Oil americana. L’articolista ha arricchito la clamorosa notizia affermando di essere in possesso di documenti probanti.
E’ una delle tante bufale da dare in pasto alla gente più semplice; infatti il settimanale immediatamente querelato dalla Fondazione Mussolini non ha ancora fornito i documenti richiesti dagli avvocati della Fondazione.
Un altro caso riguarda un articolo di Marco Zeni e pubblicato su Il Giornale di qualche tempo fa, un articolo che ha occupato le due pagine centrali del quotidiano.
Un grande titolo condensa quanto l’autore andrà a sostenere: .
E’ una storiella vecchia trita e ritrita, sostenuta nel dopoguerra da altri storici e presentata come novità da Marco Zeni.
Dobbiamo confessare che sulle prime siamo rimasti colpiti da un documento situato nella parte bassa della pagina 23, dal quale risulta che Mussolini sposò Donna Rachele essendo, però, già sposato con Ida Irene Dalser, una bella ragazza di Sopramonte in provincia di Trento, all’epoca provincia austriaca.
L’articolo inizia con un ampio riquadro in prima pagina nel quale si legge: .
E quando sarebbero state celebrate le nozze? .
Si evidenzia immediatamente un dubbio: in quel periodo Mussolini era un accanito mangiapreti e mai si sarebbe sposato in chiesa. Superato lo stupore viene spontaneo osservare che il documento dovrebbe essere tutt’ora depositato nella parrocchia. dice Zeni, perché .
L’autore non porta nessuna prova di questa manomissione, poi, per come si svilupperanno le cose più avanti, una domanda è spontanea: che ci stavano a fare quelle carte nella pancia del gallo cedrone impagliato?. E chi le avrebbe messe e perché?
Ma andiamo avanti. Il lettore annoti queste date: autunno 1914 e 1925. In questi undici anni c’è un buco che Zeni non colma.
Certamente Ida Dalser ha avuto una vita travagliata, ma, per quanto abbiamo potuto verificare, una vita che lei stessa ha voluto turbare.
Nel lunghissimo articolo Marco Zeni cerca di dimostrare: 1) che la prima moglie di Benito Mussolini fu, appunto, la Dalser; 2) che esiste un documento che attesta queste avvenute nozze; 3) che Mussolini fece internare in un manicomio sia la Dalser che il figlio Albino Benito nato a seguito della relazione; 4) che madre e figlio furono rinchiusi in manicomio pur essendo sani di mente.
Osserviamo:
1) Secondo l’articolista le nozze con la Dalser sarebbero state celebrate in chiesa e i documenti distrutti dalle squadracce fasciste nel 1925. Ma se è vero che il matrimonio fu consacrato nell’autunno del 1914, è altrettanto vero che almeno sino al 1919 di squadracce non ce ne erano neanche l’ombra o, almeno avevano altro a che pensare. Perché in questo buco di almeno cinque anni la moglie legittima non ha presentato istanze per rivendicare le sue ragioni? Inoltre – e ciò non è da sottovalutare – la Dalser sapeva che Mussolini era legato a Rachele Guidi e che da lei aveva avuto una bambina, Edda, nata quattro anni prima del presunto matrimonio. In merito Mussolini così ha scritto ad un suo amico, Cesare Berti: .
2) “C’è un documento che attesta queste nozze”, scrive Marco Zeni. Mussolini sposò Donna Rachele il 16 dicembre 1915, incinta per la seconda volta e concordemente decisero di unirsi in regolare matrimonio: matrimonio registrato con il N° 51 presso il Comune di Treviglio.
Il documento presentato da Marco Zeni, anche se porta la data del 21 ottobre 1916, deve essere stato tratto da qualche registrazione precedente. Perché questa non fu presentata dieci mesi prima per invalidare sul nascere le nozze con Rachele Guidi?
E’ semplice: perché quel documento, anche se è originale, è falso nel contenuto.
In realtà ecco cosa avvenne.
C’era la guerra e il bersagliere Benito Mussolini parte per il fronte il 31 agosto1915. L’11 gennaio 1916 i due amanti si incontrano con il notaio Giuseppe (o Vittorio) Buffali a Milano e, presenti due testimoni, stilano un documento così concepito: .
Questo attestato notarile, pur contenendo una seria inesattezza, tuttavia inficia quanto scritto da Marco Zeni circa il “matrimonio avvenuto nell’autunno del 1914 con la Dalser”, salvo che nel ventre del gallo cedrone impagliato non si celi un altro documento che dimostri la non affidabilità dell’atto del notaio Buffali.
Il suddetto atto notarile, secondo Antonio Spinosa, .
Prima di ripartire per il fronte Mussolini, in cerca di un alloggio per la sua ex amante, l’accompagnò in un modesto albergo di Milano, il Gran Bretagna e, per farla accettare, la Dalser fu presentata come la propria moglie. Il direttore dell’albergo, dopo alcuni giorni, non essendo stato pagato, minacciò di cacciarla. La Dalser allora si rivolse al sindaco di Milano per ottenere un sussidio e in quella occasione dichiarò di essere la moglie di Benito Mussolini. Risultando sul registro dell’albergo quanto asserito sia dalla Dalser che da Mussolini stesso, il Sindaco rilasciò un documento: .
Così alla Dalser venne riconosciuto un sussidio di L. 7,70 per il primo lunedì, e per ogni lunedì successivo L. 2,45.
3) La Dalser dette inizio immediatamente ad una serie di scenate, di pratiche legali e di attacchi a
Rachele. Edda ricorda: .
Ida Dalser era realmente malata di mente? Il primo ad attestarlo è Antonio Spinosa (un Autore tutt’altro che di simpatie mussoliniane), il quale scrive (I figli del Duce, pagg. 23-24): <(La Dalser) si sentì tradita e cominciò a dare segni di squilibrio mentale (…). Già qualche mese prima, durante un’assenza di Benito da Milano, era piombata all’improvviso a Via Castelmaggiore e aveva affrontato la piccola Edda ponendole, fra le urla, una strana domanda: “tuo padre ama davvero questa donna?”, e indicava imperiosamente Rachele, la quale manteneva in tale trambusto una grande calma>.
Forse la Dalser non era malata di mente – nel senso comune del termine – ma, essendo stata ferita nel suo orgoglio di donna agì in modo da apparire tale.
4) E’ innegabile che a Mussolini piacessero le donne e che ne era ampiamente corrisposto. Tuttavia chi pagò il prezzo più alto per le intemperanze della Dalser fu il figlio BenitoAlbino. Per evitare qualsiasi altro incontro con la madre, Mussolini cercò di non avere rapporti diretti con lui, lasciando questa incombenza al fratello Arnando. Albino fu allontanato, al contrario dell’altra figlia naturale, Elena, che rimase sempre accanto al padre sino alle ultime tragiche fasi della Repubblica Sociale.
Come è accaduto per altri Autori, Marco Zeni cerca di insinuare il sospetto che fu per ordine di Mussolini che la Dalser e il figlio venissero rinchiusi in manicomio per farli morire. Evidentemente Zeni confonde Mussolini con Stalin e con Mao Tse Thung, o con Pol Pot o con Hitler. Mussolini mai ordì la soppressione di chicchessia, si immagini di un figlio.
Per concludere. Mentre per la storiografia antifascista il figlio naturale del Duce, Benito Albino, fu ucciso in una clinica per malattie mentali per ordine del truce tiranno, per Giorgio Pini e per Duilio Susmel la storia è completamente diversa. Benito Albino, dopo aver frequentato la Scuola Navale di Livorno ottenne il grado di ufficiale di marina. Scoppiata la guerra si sarebbe imbarcato, nel 1940, su un cacciatorpediniere. La nave venne silurata nelle acque del Tirreno nel 1942 e affondò portando con sé anche il non troppo felice ragazzo.
In definitiva, quali sarebbero gli scopi di Marco Zeni nel suo lunghissimo articolo? Questi sono condensati nell’ultima sua frase: .
Questa sentenza non è molto diversa da quella emessa dall’altro storico Gennaro De Stefano contenuta nel settimanale Oggi, sopra menzionato, il quale dopo aver ricordato le tangenti del Duce, scrive: .
Come dire: Mussolini fu un tangentista, oltre che cinico assassino della moglie e del figlio.
Secondo costoro i tanti che, ancor oggi dopo quasi sessantacinque anni dal suo assassinio lo rimpiangono, sono avvertiti… E Gianfranco Fini ha un altro argomento per santificare l’antifascismo.

lunedì 27 ottobre 2008


Il « 28 Ottobre »…

di: Alberto B. Mariantoni ©

Il 28 Ottobre (in realtà, tra il 27 ed il 31 Ottobre) del 1922, avveniva la « Marcia su Roma »: un’insurrezione nazionale, popolare e rivoluzionaria che metteva fine alla situazione di disordine strutturale e di guerra civile permanente e generalizzata che regnava in Italia dalla fine della Prima guerra mondiale.

Nell’arco di quelle giornate, all’incirca 100 mila squadristi erano insorti con sincronia militare in tutta la Penisola ed avevano preso il controllo delle principali città italiane, a cominciare da quella di Siena; mentre altre 50 mila Camicie Nere, ripartite in tre colonne – che provenivano rispettivamente da Monterotondo, Tivoli e Santa Marinella (senza contare i 5 mila uomini di riserva che si erano attestati su Foligno) – erano confluite sulla capitale e, stringendola d’assedio, avevano dato lo « scossone finale » all’allora governo di destra dell’on. Luigi Facta, ed indirettamente costretto il Re Vittorio Emanuele III a dare l’incarico di formare il nuovo Governo italiano a Benito Mussolini, il Duce della rivoluzione fascista.

L’idea di quella rivoluzione era nata appena 43 mesi prima, da una serie di articoli e di comunicati stampa, redatti dallo stesso Mussolini, che erano apparsi su « Il Popolo d’Italia », in risposta al disfattismo generalizzato e alla disobbedienza civile che in quell’epoca erano largamente alimentati e favoriti dal massimalismo socialista trionfante e dalle prime avvisaglie dell’allora sbocciante tracotanza bolscevica.

Il 2 Marzo del 1919, in uno di quegli articoli, Mussolini invitava « corrispondenti, collaboratori e seguaci del Popolo d’Italia, combattenti, ex combattenti, cittadini, e rappresentanti dei Fasci della Nuova Italia e del resto della Nazione ad intervenire all’adunanza privata che si terrà a Milano, il 23 Marzo ».

Il 6 Marzo successivo, in un comunicato dello stesso giornale, lo stesso Mussolini specificava: « (…) da quella adunata usciranno i Fasci di Combattimento il cui programma è racchiuso nella parola ». « (...) Il 23 Marzo sarà creato l’antipartito, sorgeranno cioè i Fasci di Combattimento che faranno fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra ».

Il 18 Marzo, un nuovo pezzo del futuro Duce d’Italia, sottolineava: « Noi vogliamo la elevazione materiale e spirituale del cittadino italiano (non soltanto di quelli che si chiamano proletari... e la grandezza del nostro popolo nel mondo. Quanto ai mezzi non abbiamo pregiudiziali: accettiamo quelli che si renderanno necessari: i legali e i così detti illegali. Da tutto questo travaglio usciranno nuovi valori e nuove gerarchie ».

Il 23 Marzo 1919 - dopo una riunione preparatoria che si era tenuta il 21 dello stesso mese - l’attesa assemblea, presieduta dal Capitano degli arditi Ferruccio Vecchi e composta da appena 53 persone di origini politiche le più svariate (per lo più, ex interventisti, futuristi, ex sindacalisti, ex socialisti rivoluzionari, ex arditi, reduci di guerra, ex volontari fiumani, ecc.), ebbe luogo nella sede dell’Alleanza Industriale e Commerciale di piazza San Sepolcro, a Milano.

In quell’occasione, fu lo stesso Mussolini a definire la natura e la portata del nuovo movimento fascista: « Noi siamo - egli disse - degli antipregiudizialisti, degli antidottrinari, dei problemisti, dei dinamici; (...) noi abbiamo stracciato tutte le verità rivelate, abbiamo sputato su tutti i dogmi, respinto tutti i paradisi, schernito tutti i ciarlatani - bianchi, rossi, neri - che mettono in commercio le droghe miracolose per dare “felicità” al genere umano. Non crediamo ai programmi, agli schemi, ai santi, agli apostoli: non crediamo soprattutto alla felicità, alla salvazione, alla terra promessa. Non crediamo a una soluzione unica - sia essa di specie economica o politica o morale - a una soluzione lineare dei problemi della vita, perché, - o illustri cantastorie di tutte le sacrestie - la vita non è lineare e non la ridurrete mai a un segmento chiuso fra bisogni primordiali» (Benito Mussolini, « Scritti e Discorsi », Ulrico Hoepli Editore, Milano, 1934 - XII, Tomo II°, pag. 33 e 53-54).

Il Fascismo era nato.

Inutile, in questo contesto, ritracciare il calvario di quella rivoluzione. In particolare: le sconfitte elettorali, le persecuzioni poliziesche, le impari battaglie con i sovversivi, gli infiniti lutti subiti, le delusioni, le amarezze, le frustrazioni.

Sembrava davvero impossibile che un pugno di patrioti irriducibili potesse arrestare la valanga sovversiva social-comunista e cambiare il corso della Storia. Eppure, con il coraggio e la fredda determinazione che li animava, quel manipolo di eroi riuscì a dare l’esempio ai tiepidi ed ai rinunciatari, riuscì a scuotere i pigri e gli ignavi dal loro torpore, riuscì ad amalgamare attorno a sé la parte sana della nazione e masse sempre più vaste di italiani.

Sarà il miracolo di quella rivoluzione!

« Il fascismo comincia a crescere, tumultuosamente, impetuosamente dopo il novembre del 1920; richiama alla mente di tutti, amici e avversari, una sola immagine: quella di un corso d’acqua che d’un tratto si gonfi e rompa ogni argine e dilaghi oltre ogni previsione » (P. Rauti, R. Sermonti, « Storia del Fascismo », Centro Editoria Nazionale, Roma, 1976, Tomo II, pag. 117).

Dopo le sanguinose violenze, gli scioperi, le occupazioni, le aggressioni e gli agguati che avevano continuato a subire durante il famoso « biennio rosso » (1920-1921), i fascisti - rincuorati ed ingigantiti dall’indescrivibile affluenza di nuove reclute - riusciranno a restituire colpo su colpo ai loro avversari ed a distruggere progressivamente la forza offensiva dei partiti sovversivi.

La resurrezione della Nazione italiana era ormai alle porte.

I fascisti, infatti, con il loro sacrificio, oltre a mettere fuori combattimento i loro avversari, « avevano colpito a morte il vecchio regime. Avevano salvato la civiltà italiana alla nuova storia. Avevano difeso tutta l’Europa da una delle più convulse esplosioni di barbarie. Avevano ridestato a vita immortale - con il sangue dello stesso sacrificio - i padri del Risorgimento e i nipoti non indegni ch’erano caduti nella grande guerra » (Roberto Farinacci, « Storia del Fascismo », Società Editoriale Cremona Nuova, Cremona, 1940, XVIII, pag. 245-246).

Quegli uomini, il 28 Ottobre del 1922, dopo tante privazioni e rinunce, ebbero la gioia di vedere realizzato il loro sogno e quella di potere, in fine, assaporare il gusto della loro meritata vittoria.

Lo stesso non posso dire per me e per quanti, da più di sessant’anni, hanno cercato di essere fedeli a quella medesima tradizione.

La mia generazione, purtroppo, ha conosciuto solo le sconfitte, le delusioni e le amarezze. E’ nata troppo tardi per marciare con coloro che durante il Ventennio contribuirono alla rinascita della nostra Nazione e, probabilmente, troppo presto per farlo con coloro che sicuramente verranno per riscattare di nuovo la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità della nostra Patria.

La sola gioia che posso vantare nel contesto della mia fede, è quella di avere avuto l’opportunità e l’onore, nel corso della mia gioventù, di conoscere personalmente un certo numero di squadristi di quella rivoluzione.

Difficile descriverli. Impossibile dimenticarli. Erano degli uomini per cui, ancora oggi, vale la pena di vivere e di continuare a soffrire, semplicemente per potere testimoniarne l’esistenza e tramandarne le gesta.


Alberto B. Mariantoni ©

mercoledì 22 ottobre 2008

martedì 21 ottobre 2008

sabato 4 ottobre 2008


MONSIEUR NERIO FORNASIER: LE PRESENTO IL MALE ASSOLUTO
Osservazioni di un “ricercatore (storico)”
di Filippo Giannini

Il Signor “X” mi ha autorizzato con mail a parte di rendere noto il Suo nome; cosa che faccio ma, dato che avevo già pronto l’articolo ho ritenuto conveniente lasciare le cose come sono.
Alcuni lettori più attenti che altri, ricorderanno la mia risposta ad un Signor “X”, Signore che vive in Francia, risposta riportata su “Il Popolo d’Italia” dal titolo “La guerra Italo.Giapponese” centrata, principalmente su una risposta fornita dall’ottimo giornalista Sergio Romano, il quale a mio modo di vedere, fu una risposta troppo blanda in merito all’infamante dichiarazione di guerra del Governo antifascista Ferruccio Parri nell’estate 1945. Detto articolo fu la conseguenza di una breve, amichevole corrispondenza avvenuta fra il sottoscritto e il Signor “X”. Data la lunghezza dell’argomento trattato dal mio interlocutore, avvertii che sarei stato costretto a dividere la risposta in due argomentazioni. Ecco, ora il
SECONDO ARGOMENTO. Il Signor “X” scrive: . Il Signor “X” scrive ricordando che il padre . Anche il fratello maggiore si arruolò (mascotte della Xa). Alla domanda drammatica rivolta dalla mamma al padre: .
Anche da queste, a volte drammatiche parole, si evince che la VERITA’ VERA su quell’uomo e su quel periodo è ancora lontana e che la “PW” (Psychological Warfare) è ancora ben attiva e tutt’ora .
. Possibile che mai gli italiani si siano chiesti: ma queste accuse da quale fonti provengono? Da persone oneste? Da politici capaci? Da gente al di sopra di ogni sospetto? Oppure da disonesti, incapaci, corrotti e corruttori? Non sono coloro che si accamparono a Fiuggi? E se quest’ultima ipotesi fosse quella più vicina alla realtà, con quale fini?
Se una delle accuse più gravi fosse quella che il Duce “trascinò l’Italia alla Seconda Guerra mondiale”, cosa dire dei veri guerrafondai come Salandra, Roosevelt, Churchill, Stalin, Eisenhower, Bush, e così di seguito e solo per citare alcuni personaggi di questo secolo.
Credo che nessuno mi possa accusare di inventare la storia; prima di qualsiasi mio scritto porgo la massima attenzione a documenti e, poi, solo disponendo di questi, scrivo.
Bernard Shaw il 13 ottobre 1937 sul Manchester Guardian profetizzò: . E fu quello che avvenne. La domanda da porsi è: “Mussolini voleva questo scontro contro il capitalismo?
Tra il 24 e il 31 luglio 1947 il Parlamento era impegnato a discutere se fosse il caso di rettificare il Diktat e prevalse, ovviamente la posizione degli italyoti. Prima, però, si alzò a parlare Saverio Nitti, ex Capo di Governo e riconosciuto antifascista e disse, riferendosi alla diffusione internazionale del movimento fascista (27/7/1947): .
Nella Conferenza Navale di Londra nell’aprile 1930, chi propose il disarmo terrestre e navale anche al livello più basso? Mussolini.
Chi propose alla Conferenza di Ginevra del febbraio 1932 l’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole rendere impossibile una guerra? Chi, se non Mussolini? E chi si oppose a questo progetto?
Non fu Mussolini l’autore e il protagonista di quell’organismo, poi conosciuto come Patto a Quattro che, sottoscritto dai rispettivi ambasciatori, fu sabotato per la mancata ratifica da parte dei governi di Londra e Parigi?
Chi fece naufragare gli Accordi di Stresa dell’11-14 aprile 1935, di cui fu promotore Mussolini? I Governi di Londra e Parigi!
Non fu Lloyd George, come ricorda Franco Monaco, a riconoscere a Dino Grandi: ? Come si comportarono, invece, Parigi e Londra? Non boicottarono in ogni modo le azioni di Mussolini?
Chi riconobbe che l’Italia di Mussolini “fu gettata nelle braccia della Germania di Hitler per colpa della politica inglese”? Renzo De Felice, Winston Churchill, George Trevelyan, Richard Lamb ecc..
Chi salvò la Pace nella Conferenza di Monaco nel 1938? Chi, se non Mussolini?
Chi ci costrinse alla guerra provocandoci, con il fermo e il dirottamento dei nostri bastimenti e navi di linea nel 1939 (1340 casi), come dimostrano i due Rapporti Luca Pietromarchi? Francia e Inghilterra.
Pietro Badoglio non scrisse, nel 1948, che
Ci sono altre mille e mille testimonianze e documenti che Mussolini non voleva la guerra. E allora, perché quel 10 giugno 1940?
Ce lo spiega con poche parole un altro studioso: Rutilio Sermonti, che sul suo libro L’Italia nel XX Secolo, scrive: . Perché? Perché già allora era diventato il “male assoluto”, ma per coloro che detenevano le chiavi delle cassaforti e dell’oro mondiale.
Ben comprendo le difficoltà che incontra l’uomo di oggi, martellato giorno dopo giorno da un’assordante propaganda menzognera, comprendere quale ben diverso ruolo svolgeva l’Italia in quegli anni, non solo nel contesto europeo, ma anche in quello mondiale. Ho già, a suo tempo, fatto cenno alle grandi idee, incentrate in un nuovo ordine, che partivano dall’Italia fascista, idee che potevano cambiare l’assetto del sistema economico-sociale di tutto il mondo. La nostra penisola ha costituito sempre, data la sua posizione geografica posta nel centro del Mediterraneo, un’area essenziale per i poteri costituiti. Era capitale, quindi, traghettare di nuovo il nostro Paese in quello spazio che gli era stato assegnato nel 1919 da Wilson, Clemenceau e da Lloid George, area che per l’Italia di Mussolini era troppo angusta.
Per tornare al Signor “X”, questi lancia una nuova accusa (fra le tante): . Questo fatto espresso da una persona che si qualifica ricercatore storico, lascia per lo meno perplessi. Infatti, ha detto bene il Signor “X”, , cioè dopo la fuga nelle braccia del nemico di Badoglio e del suo Re. E se i tedeschi avessero fatto dell’Italia terra bruciata, come avevano minacciato, anche di questo si vorrebbe far carico a Mussolini? A prescindere che quanto asserito dal Signor “X” è, perlomeno falloso. Infatti, se è vero che DOPO L’8 SETTEMBRE 1943 i tedeschi inviarono a Trieste un austriaco il Gauleiter, il dottor Friedrich Rainer, ma è anche vero che immediatamente Musssolini inviò in quelle aree truppe della Rsi e, contemporaneamente protestò direttamente con Hitler e ottenne categoriche assicurazioni che non si mettevano in discussioni i confini italiani, tanto per il Trentino e l’Alto Adge, quanto per il territorio Adriatico. In ogni caso – questo un ricercatore storico dovrebbe ben saperlo, infatti in quelle aree messe in pericolo, continuò la legislazione italiana con i suoi codici civili e penali, i francobolli erano italiani, gli stipendi venivano pagati dallo Stato centrale in Lire italiane e i nuovi nati erano cittadini italiani.
Vedo che ho abusato dello spazio che mi si concede, quindi vado alle conclusioni e lascio parlare il “male assoluto”. Sono parole tratte da una intervista concessa dall’adorabile tiranno al giornalista Gaetano Cabella, il 20 aprile 1945, cioè sette giorni prima di essere assassinato, intervista nota, certamente, a molti lettori.
<(…) HO QUI TALI PROVE DI AVER CERCATO CON TUTTE LE MIE FORZE DI IMPEDIRE LA GUERRA CHE MI PERMETTONO DI ESERE PERFETTAMENTE TRANQUILLO E SERENO SUL GIUDIZIO DEI POSTERI E SULLE CONCLUSIONI DELLA STORIA. NON SO SE CHURCHILL E’, COME ME, TRANQUILLO E SERENO. RICORDATEVI BENE: ABBIAMO SPAVENTATO IL MONDO DEI GRANDI AFFARISTI E DEI GRANDI SPECULATORI. ESSI NON HANNO VOLUTO CHE CI FOSSE DATA LA POSSIBILITA’ DI VIVERE (…)>.
Ultime due considerazioni:
1) Mussolini una volta ancora si dimostra un ingenuo: ancora aveva fiducia negli italyoti, infatti questi hanno consegnato quei documenti nelle mani di Mr. Winston Churchill;
2) Monsieur Fornasier ha scritto nella citata e/mail: . E no! Caro Signore, io non l’ho mai offesa…, Perché Lei mi vuole insultare?




venerdì 5 settembre 2008

“FRAMMENTI” DI STORIA
Il calice della stupidità e della vergogna
di Filippo Giannini

A seguito di un mio articolo pubblicato di recente, un lettore di Como, Ubaldo Croce, mi ha inviato (e lo ringrazio), a mezzo posta elettronica alcune interessanti notizie che mi danno modo di affrontare un argomento che ritengo di considerevole importanza per noi italiani ed europei. Argomento che ci è d’aiuto per comprendere gli avvenimenti che ancor oggi ci umiliano.
Quante volte abbiamo ascoltato, da persone anche di un certo spessore culturale, che parlare di Fascismo e del suo Capo dopo più di sessant’anni dalla sconfitta (militare!) del primo, e dalla morte (assassinio!) del secondo è completamente fuori luogo perché si tratta di argomenti superati dal tempo? Nel migliore dei casi, le suddette persone, invitano a “far giudicare dalla storia”.
La “storia”. E’ proprio per questo affascinante sostantivo che respingo l’ipotesi (tanto cara a “certi individui”) di “storicizzare” il Fascismo.
“Attenzione a non storicizzare il Fascismo...Il Fascismo è davanti a noi” ammoniva Giorgio Almirante. E allora, per evitare la “mummificazione” del Fascismo, dobbiamo scrivere la Storia per come realmente si svolsero i fatti che l’hanno caratterizzata, e capire, così, come siamo giunti ad essere vassalli del più rozzo dei popoli.
Tarda primavera del 1940; sì, amico lettore, quasi settanta anni fa, anzi, per essere ancora più precisi, spostiamo quella data indietro di almeno un lustro. In quegli anni il Fascismo era trionfante non solo in Italia: le sue idee (ecco il punto focale: le sue idee) si stavano espandendo in tutto il mondo e questo terrorizzava i Paesi plutocratici capitanati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Quelle “idee” che partivano, per la terza volta nella storia mondiale, dal nostro Paese e mettevano in discussione i principi finanziari e politici sui quali si basava il potere delle Nazioni ricche, che detenevano i due terzi dei beni del mondo. Mussolini “aveva osato” prospettare nuovi principi per giungere ad una equa distribuzione delle ricchezze. Questo, ovviamente, non poteva essere più tollerato da quei Paesi nei quali la politica era (ed è) pilotata dai “poteri forti”; più concretamente: dalla massoneria.
Contro l’Italia fascista fu decretata la condanna a morte.
Sarebbe troppo lungo elencare i mezzi messi in opera per costringere l’Italia alla guerra; perché i Governi democratici la guerra non la dichiarano, ma la impongono.
Rutilio Sermonti – di cui condivido completamente il pensiero – nel suo libro “L’Italia nel XX Secolo”, ha scritto: .
Sarebbero sufficienti queste poche righe per aprire un esame storico, quell’esame che agli italiani e agli europei non solo non è stato concesso, anzi è stata data loro in pasto una storia la cui “chiave di violino” è ben custodita nei forzieri di Wall Street.
Ho poco sopra accennato alle provocazioni messe in atto per spingere l’Italia alla guerra. Per ragioni di spazio mi limito a semplici richiami, senza entrare nel merito; anche se, entrando nel merito si bollerebbero come “criminali di guerra” persone come Roosevelt e compagni. “Semplici richiami” che hanno per nome: guerra civile di Spagna (chi si rifiutò di circoscriverla?) e seconda Guerra Mondiale, per evitare la quale bastava . (Dal discorso di Mussolini del 10 giugno 1940).
I Paesi capitalisti avevano ben costruito l’edificio per spingerci alla guerra; e per vincerla era necessario eliminare per prima l’Italia. Essi erano consapevoli che la guerra sarebbe stata vinta sul mare e sul mare impostarono le basi per l’eliminazione – o la neutralizzazione – della poderosa flotta italiana. Per ottenere ciò utilizzarono ogni mezzo, il più ignominioso fu il tradimento. Evito di richiamare alla memoria i lavori di Antonino Trizzino, o anche dell’ammiraglio Angelo Jachino, ma riporto quanto ha scritto un ufficiale dell’”Intelligence Service” britannico, Lowrence Bonnet, nel suo libro “Spionaggio nella Seconda Guerra Mondiale”, pag. 220: .
L’Ammiraglio Da Zara (uno dei massimi esponenti della Marina Militare italiana) così ha scritto nel suo libro “Pelle di ammiraglio”, pag. 158: .
Potrei ricordare anche l’ammiraglio Franco Maugeri e tanti altri per osservare che a questi “soldati” venne affidato l’incarico di combattere la guerra sul mare e condurre alla vittoria il loro Paese: cosa che era alla nostra portata stando a quanto ha scritto, con amarezza, l’Ammiraglio Teucle Meneghini: .
Ecco alcuni motivi con i quali sostenere che la storia per come ci viene raccontata oggi è una colossale montatura: montatura necessaria per ridurre l’Europa, con la sua millenaria civiltà, vassalla al potere del . Così si esprime Renzo De Felice per etichettare gli Stati Uniti d’America.
E’ auspicabile che gli europei, una volta smaltita la sbronza da wisky, possano riscoprire e riproporre quelle idee abbattute esclusivamente dal potere dell’oro, della corruzione, del tradimento e prospettare una nuova era: quella definita da Giovanni Gentile l’”Umanesimo del Lavoro”.

mercoledì 20 agosto 2008

MUSSOLINI MARTIRE E SANTO SUBITO!
Se con Piazzale Loreto pensavamo che fosse finito ogni dramma ed ogni vilipendio sul cadavere di Benito Mussolini, ci siamo purtroppo sbagliati. Se la mattanza di quel giorno sembrava averle superate tutte ed i protagonisti di quelle ignobili gesta,”giustificati” dalla teoria del furore popolare, cosa dovremmo dire allora di quel che avvenne dodici anni più tardi, nell´agosto del 1957 ad opera dello stato italiano e delle sue istituzioni, capaci di tagliare in tre pezzi il corpo di Mussolini, prima di riconsegnarlo ai suoi famigliari? Sì, avete capito proprio bene……venne fatto a pezzi il suo cadavere….
Ricostruiamo con ordine i fatti.
Tutto comincia nella notte del 24 aprile 1946, quando un reduce della Repubblica Sociale Italiana, Domenico Leccisi, futuro senatore del M.S.I., insieme ad altri suoi due compagni, trafugò la salma di Mussolini dal cimitero del Musocco, a Milano, riesumandolo dalla tomba identificata con un numero, il 7. Nel suo gesto non c´era solo la voglia di far sentire che il movimento fascista esisteva ancora ed era vivo più che mai, ma c´era soprattutto l´intento nobile di rendere una degna sepoltura e un cristiano funerale al Duce. Dopo il suo omicidio ed il vilipendio del cadavere a Piazzale Loreto, c´era il desiderio e quasi l´obbligo morale di fare qualcosa di umano per Mussolini; fu così che Leccisi intervenne, decidendo quindi di portare via la salma da quel luogo, dando avvio ad un rito che riparasse agli orrendi misfatti dell´aprile 1945, assicurando perciò anche all´anima del Duce la possibilità di avere una dignitosa sepoltura.
Quella dignitosa sepoltura che per molto tempo gli sarà però ancora negata, come vedremo fra poco…. Verrebbe intanto da chiedersi subito perché mai furono abbandonati i suoi resti in una buca senza nome, la cui unica identificazione era un numero, dove nemmeno la famiglia poteva recarsi per portare almeno un fiore o inginocchiarsi a piangere e pregare per lui, visto che nessuno sapeva dov´era stato sepolto? Non volerlo consegnare ai suoi famigliari e non voler dargli una tomba dove piangerlo a cosa serviva? Perché tenerlo occultato, nemmeno si temesse che il suo corpo resuscitasse e Benito ritornasse a vivere?! L´Italia della resistenza aveva forse paura di lui anche da morto?
Dopo che i tre camerati eseguirono in forma privata un funerale un po´ spartano, ma comunque sincero, decisero di nascondere il corpo in un luogo sicuro e al contempo sacro: un convento di frati. Lo affidarono a questi che lo tennero così in custodia fino alla fine di quella vicenda.
Nel nostro Paese intanto, la questione del trafugamento del corpo scatenò stupore e polemiche. Qualcuno già gridava di nuovo alla “caccia al fascista” e d´altro canto i crimini del dopoguerra da parte dei comunisti sarebbero andati avanti fino alla fine di quell´anno, e in alcuni casi anche oltre (almeno fino al 1949)…
Si misero allora in moto tutti quanti, dalle questure ai partiti, dal governo ai giornali, fino alle associazioni partigiane (colpite al “cuore” proprio nel giorno del primo anniversario della cosiddetta “liberazione”); ognuno si dà da fare per dire la sua e per scatenare nel paese un nuovo
clima d´odio e di avversione contro un nemico invisibile. Gli ex militanti della resistenza e la nuova classe politica, che credevano di aver vinto su tutti i campi, anche su quello del consenso popolare, si trovano di colpo a dover riavere a che fare con la figura di un uomo simbolo per gli italiani, o almeno, per una parte di essi. Loro malgrado sono costretti a rendersi conto che in Italia fascisti e mussoliniani ne esistevano ancora e che quell´ideologia era viva più che mai; non bastò aver ucciso nel giro di un anno migliaia di fascisti o presunti tali, né di averne incarcerati altrettanti. Là fuori, altra gente continuava a credere in quegli ideali nella quale per vent´anni tutti si erano identificati, e continuava ad amare una persona che ormai non c´era più. I comunisti probabilmente, è in quel momento che adottarono la famigerata frase “carogne tornate nelle fogne”; ma questi non solo non decisero di restare nell´oblio, anzi, alcuni mesi più tardi, esattamente il 26 dicembre, sempre dello stesso anno, diedero vita a quello che divenne un grande partito, l´M.S.I., fondato da alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana, tra cui Giorgio Almirante (all´epoca di Salò capo di gabinetto del ministero della cultura popolare, guidato dal ministro Ferdinando Mezzasoma), Pino Romualdi e Arturo Michelini.
Intanto, lo stato italiano diede ordine alle questure di setacciare tutta Milano e dovunque in Italia arrivasse una segnalazione che presumeva di aver visto il corpo di qua o di là; si partì subito alla carica, nemmeno fossimo di fronte ad una lotta contro il tempo.
Tutto andò avanti in questo modo finché nell´agosto di quello stesso anno si viene finalmente a conoscenza dove si trovano i resti del suo cadavere.
Lo stato italiano decide a quel punto di imporre il silenzio su tutta la vicenda e anziché consegnare i resti alla famiglia Mussolini, gli tiene sotto sequestro per ben undici anni, lasciandoli in ogni caso in custodia in quel convento di frati.
Ma in Italia nessuno sa niente, almeno ufficialmente, ed il clima di stupore, paura, indignazione continua all´infinito, nutrendo leggende su chi ha visto il corpo in ogni angolo del Paese, nelle situazioni più anomale, raccontando spesso versioni dei fatti fin troppo fantasiose.
Quando finalmente lo stato italiano si decise, il 31 agosto del 1957, a riconsegnare alla Signora Rachele, moglie del Duce, i resti di suo marito, lo fa con un´iniziativa alquanto macabra ed assolutamente condannabile: badate bene, il nostro stato, quindi un istituzione, anzi, l´Istituzione, decise di tagliare in tre pezzi il corpo di Mussolini, per farlo stare dentro una cassa di legno di circa un metro! Avete capito bene…. Le nostre istituzioni, non paghe di aver tenuto sotto sequestro il corpo per undici anni, non paghe di aver accettato la sua illegittima condanna a morte ed il successivo scempio di Piazzale Loreto, non paghe di aver permesso agli americani di asportargli persino un pezzetto di cervello per i loro assurdi studi scientifici, hanno per la seconda volta vilipeso il suo cadavere. Direi piuttosto che hanno ucciso Mussolini per la terza volta….
Ma a che cosa serviva arrivare a tanto? Perché inveire per l´ennesima volta e a distanza di tanti anni sul corpo di un uomo ormai estinto? Non lo si poteva rispettare nemmeno da morto? I furori popolari erano passati, e allora che giustificazione può darci in merito lo stato italiano?
In quel momento credo che tutti avremmo dovuto vergognarci di essere rappresentati da questi “campioni” della “democrazia”, capaci vigliaccamente di recare danno ad un corpo inerme.
E forse per un giorno, almeno per un giorno, avremmo dovuto tutti vergognarci pure di essere italiani, se l´Italia in cui la gente si identificava è quella di Piazzale Loreto o quella che permette al governo italiano di tagliare in tre pezzi il corpo di un uomo deceduto dodici anni prima, dopo averlo tenuto sotto sequestro per oltre un decennio. Infierire sui morti e giustificare questi atti, sono i principi su cui è basata la nostra repubblica? Sono questi i valori condivisi della democrazia italiana? Sono questi i valori della tanto decantata resistenza?
Mi aspetterei a questo punto, giunti nel 2008, di sentire almeno le scuse, seppur tardive, da parte di qualche esponente di spicco delle odierne istituzioni. Ma forse questo sarebbe chiedere troppo… Vero, presidente Napolitano? Vero, senatore Andreotti?
Risuonano allora come inquietanti e premonitrici queste parole di Mussolini:
“Sarei grandemente ingenuo se credessi di essere lasciato tranquillo dopo morto. Sulle tombe dei capi di quelle grandi trasformazioni che si chiamano rivoluzioni, non ci può essere pace….”
Già, ancora una volta il buon Benito seppe con grande intuito vedere lontano, molto lontano….
Michele Marini

giovedì 14 agosto 2008


Domenica 24 agosto prossimo venturo alle ore 10.30 nella chiesetta del Cimitero di Ravenna, dove l'eroe è sepolto, su iniziativa degli "Arditi" di Ravenna e Bologna, Ettore Muti sarà commemorato.
Seguirà una riunione conviviale presso il ristorante "La Pritona" al Lido Adriano in Viale Botticelli 4.
Siete invitati ad intervenire per onorare la memoria dell'Eroe, del Fascista, dell'Uomo.

lunedì 11 agosto 2008

MUSSOLINI STERMINATORE DI EBREI?
(Con intervento su articolo del Prof. Francesco Perfetti)
di Filippo Giannini

Ho ricevuto una E-Mail che di seguito riporto integralmente, omettendo, ovviamente, la firma dell’autore che sarà indicato con: Signor X.
Quanto tempo avrebbe impiegato l’apparato di Himmler a scoprire che la mia bisnonna era ebrea e quindi io, con la mia famiglia, essere destinato ai campi di concentramento ed ai forni crematori? Il fatto di non essere ariano – e neppure Himmler lo era – giustifica tanto orribile accanimento? Se Tamerlano, per fare un solo esempio, ha passato a fil di spada 18 milioni di persone in dieci anni, anche se erano suoi nemici irriducibili, si giustifica per questo? Un conto, caro Giannini, è essere storico e un altro essere politico. Cerchi, se possibile, di rimanere imparziale. Nel nome della verità storica. Grazie. XX>
Forse mi sbaglio, ma se ho ben capito, il Signor X vorrebbe che i miei scritti convalidassero quanto la “vulgata resistenziale” da quasi sette decenni va sostenendo, e cioè che . Se questo è quanto il Signor X pretende, mi obbligherebbe a scrivere non solo una falsità, ma addirittura una cosa esattamente contraria alla verità.
Per una volta sola mi voglio avvalere del giudizio di una personalità dichiaratamente fascista, Giorgio Pisanò. Questi nel suo libro “Noi fascisti e gli Ebrei” ha scritto: . Giorgio Pisanò: un pazzo? un mentitore fascista? No, Signor X, Giorgio Pisanò ha scritto il vero: non Hitler (è ovvio), né Stalin (per lo stesso motivo, è altrettanto ovvio), non Roosevelt, né Churchill, né Pétain, nessuno di questi ultimi, pur avendo le possibilità di farlo, si adoperarono per mettere in salvo gli ebrei: solo Mussolini lo fece.
Chi scrive queste note ha un difetto: prima di scrivere si documenta e solo su documenti scrive.
Il mio libro sull’argomento Ebrei-Fascismo ha per titolo “Uno schermo protettore”: una frase dello storico israeliano Léon Poliakov, frase che ho estrapolato dal suo libro “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei>. Se il Signor X andasse a pag. 219-220, potrebbe leggere: .
Prima di addentarci nell’argomento è bene ricordare che i calunniatori di Mussolini e dei suoi, per rendere le accuse più plausibili hanno coniato il sostantivo “nazifascista”, termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo nelle atrocità commesse da quest’ultimo, sia che esse fossero reali, esagerate o immaginarie.
Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono state evidenziate da diversi studiosi e tra questi Renzo De Felice: (“Intervista sul fascismo”, pag. 88). Se questo è vero e se è vero che la spina dorsale della dottrina nazionalsocialista era costituita dal principio della superiorità della razza, anche biologica e dall’antisemitismo, il Signor X mi potrebbe chiedere: perché, allora, le “leggi razziali” del 1938? Per dare una risposta a questo interrogativo dovremmo riportarci alla situazione politica internazionale degli anni ’30, il che ci condurrebbe troppo lontano. Accontentiamoci, al momento, di citare di nuovo De Felice (ibidem, pagg. 101-102): . Oppure, sempre dello stesso autore: .
Trattare l’argomento “fascismo-ebrei” è stato (e lo è tuttora) come accendere un fiammifero in una polveriera. La verità è che anche intorno a quei drammi è stata costruita una cortina di falsità i cui scopi sono facilmente intuibili, per chi vuol capire.
Mordekay Poldiel ha scritto: .
Nel 1934, in occasione dell’incontro con Weizmann, Mussolini concesse tremila visti a tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi in Italia. Nel 1939 (!) vennero aperte alcune aziende di addestramento agricolo, le “haksharoth” (tecniche poi trasferite in Israele) che entrarono in funzione ad Airuno (Como), Alano (Belluno), Orciano (Pisa) e Cavoli (Sardegna). Così, sempre in quegli anni la scuola marinara di Civitavecchia ospitò una cinquantina di allievi ebrei che diverranno poi i futuri ufficiali della Marina da guerra israeliana.
Il Signor X ha mai sentito parlare della Delasem e delle sue funzioni?
Dato, e ne sono certo, che pochi conoscono questo “miracolo all’italiana”, proverò a tracciarne le linee principali e i suoi scopi, avvalendomi dello scritto della storica ebrea Rosa Paini (“I sentieri della speranza”, pag. 28): .
Una domanda pongo al Signor X: perché gli ebrei che fuggivano dai territori occupati dai tedeschi anziché rifugiarsi nei Paesi democratici, a migliaia venivano in Italia, dove, ripeto, erano in vigore le leggi razziali? Erano tutti poveri bischeri? Oppure…?
Osserva Daniele Vicini (“L’Indipendente” del 26 luglio 1993): . E di seguito il giornalista elenca una lunghissima sequenza di nomi. Conoscendo i fatti e quindi la storia, quella vera (non quella propinataci da sette decenni), la risposta è semplice: i Paesi democratici respingevano i fuggiaschi, Roosevelt fece intervenire la Usa Navy per impedire con la forza l’approdo alle coste statunitensi di piroscafi carichi di ebrei: ebrei che, come ha scritto il giornalista Franco Monaco . A Solina, nel Mar Nero salì a bordo di un piroscafo il Console britannico informando gli infelici che il suo governo li considerava immigrati illegali: se si fossero avvicinati alle coste della Palestina sarebbero stati silurati. In Francia, nel settembre 1940, nel solo Dipartimento della Senna, la Sureté consegnò ai tedeschi lo schedario di circa 150 mila ebrei (François Feijto, da “Un’intervista allo storico Serge”). Sempre in Francia 4.500 gendarmi furono sguinzagliati alla caccia dell’ebreo: 12.884 persone vennero catturate, delle quali 5.802 donne e 4051 bambini; tutti consegnati ai tedeschi. Tutto ciò (e tanto, tanto altro ancora) fa concludere a Daniele Vicini: .
Voglio anche ricordare, in queste succinte note, un esempio di come sia stata condotta la storia nell’interminabile dopoguerra. Nel gennaio 1998 il giornalista della televisione italiana Paolo Frajese, conduttore di un servizio sulla vita degli ebrei nelle zone occupate dalle truppe italiane durante l’ultimo conflitto, ricordando il “Nulla Osta” concesso da Mussolini alla richiesta di Ribbentrop e commentando il fatto, con voce di rimprovero e condanna, disse all’incirca. . Frajese, evidentemente per rimanere entro i limiti del politicamente corretto, trascurò un piccolo particolare, ricordato da De Felice e da altri studiosi seri con queste parole: (Renzo De Felice, “Rosso e Nero”, pag. 160-161).
Così fu. Sino a quando Mussolini rimase Capo del Governo non un ebreo fu consegnato ai tedeschi, né agli ustascia.
E’ opportuno ricordare che in Italia, sino all’8 settembre 1943, giorno dell’annuncio della capitolazione, non esistevano campi di concentramento per ebrei, ma campi di internamento per cittadini appartenenti a quei Paesi con i quali l’Italia era in guerra. Uno di questi campi, forse il più noto, era quello di Ferramenti: qui fu internato il dottor Salim Diamand, autore del libro “Internment in Italy (1940-1945), nel quale è scritto: . Il dottor Diamand attesta che il Governo fascista concedeva 8 lire al giorno agli internati i quali potevano spenderle come desideravano.
C’è un altro grande storico, sempre israeliano, George L. Mosse dell’Università ebraica di Gerusalemme, che conferma quanto sostenuto da Giorgio Pisanò e, modestamente dal sottoscritto; infatti a pag. 245 del suo libro “Il Razzismo in Europa” si legge: <>.
Ma la storia riguardante il binomio Ebrei-Fascismo è ben più ricca di quanto, per motivi di spazio, sono costretto qui ad esporre. Desidero, comunque, terminare con una domanda che il Signor X mi potrebbe porre. . Non si possono ricordare solo quelli razziati nel Ghetto di Roma, ma anche quelli residenti nei territori occupati dalle nostre truppe, cioè quelli che, grazie alla caduta del Governo Mussolini vennero catturati dai tedeschi, e furono decine di migliaia. Signor X, guardi la data: 16 ottobre 1943. E indovini chi trovarono le SS a difendere gli ebrei del Ghetto. Non gli eroici partigiani, ma un fascista, in camicia Nera, Ferdinando Natoni, che con energia pretese la liberazione, poi ottenuta, di alcuni ebrei e fece passare per sue figlie due ragazze ebree, Mirella e Marina Limentani.
Se tutto ciò è vero, non è azzardato sostenere che gli ebrei, sino a quei giorni tenuti dietro “Lo schermo protettore”, furono poi consegnati allo sterminio dall’ignominia del primo Governo antifascista?
Perché questo morto che non vuol morire viene ucciso mille volte al giorno tutti i giorni? Lo lasciò scritto lui stesso: . Ovviamente si riferiva al mondo della grande Finanza e del grande Capitale: quelli, cioè che ci costrinsero alla guerra per poter abbattere quelle “idee” che si stavano espandendo in tutto il mondo e che, di conseguenza, avrebbero messo in dubbio lo status quo instaurato dai padroni delle casseforti mondiali.
Mi creda, Signor X, le traversie di Sua bisnonna addolorano tutte le persone civili, ma non per questo si debbono addossare le colpe ad un uomo che fece l’impossibile per evitargliele.
Se tutto quanto ho scritto corrisponde a verità, io denuncio un altro scempio della Giustizia: per i motivi sopra accennati il Sindaco di Roma inaugurerà il prossimo anno un Museo della Shoà che sarà locato a Villa Torlonia. Perché proprio a Villa Torlonia, già residenza della famiglia Mussolini?
La risposta è ovvia. Vero Signor X?


P.S. Avevo appena terminato l’articolo quando ho avuto occasione di leggere su Libero del 6 agosto un intervento di Francesco Perfetti sullo stesso argomento. L’Autore, facendo perno sulle Carte di Dino Grandi, addossa le colpe delle leggi razziali a Benito Mussolini. Mi meraviglio che un ottimo ricercatore come Perfetti non estenda le sue indagini su due argomenti:
a) il perché delle leggi razziali;
b) l’attendibilità del personaggio Dino Grandi.
E mi spiego: 1) Mussolini aveva una notevole considerazione degli ebrei (come è noto), e da questi era ampiamente ripagato, tanto che la stragrande maggioranza degli ebrei italiani era di fede fascista. Fra l’altro aveva loro concesso, con le leggi del 1930 e 1931, riconoscimenti unici al mondo. E allora, perché le leggi razziali? Ne La Seconda Guerra Mondiale di Winston Churchill, Vol. 2°, pag. 209, si legge: . Più o meno con le stesse parole lo storico inglese George Trevelyan condanna la politica inglese nei confronti di Mussolini. Il sopra citato Franco Monaco ha scritto: . L’“aver forzato”, l’essere “stati costretti” sono affermazioni che convalidano, a loro volta, quanto già sopra esposto da Renzo De Felice. E, del resto, il giornalista svizzero Paul Gentizon nel 1945 scrisse: . Ma le democrazie occidentali non vollero ascoltarlo, non potevano!
2) Dino Grandi fu l’autore principale del defenestramento di Mussolini il 25 luglio 1943. Grandi aveva necessità di passare come contestatore del Duce; quindi, quale migliore occasione che apparire oppositore delle odiose leggi razziali? Anche moralmente (almeno questo è il mio punto di vista) la figura di Grandi è discutibile. Pochi sanno che, venuto a conoscenza di un’indagine in corso per la sua precedente attività di fervente fascista, Grandi chiese a Winston Churchill un attestato delle sue benemerenze quale deciso oppositore di Mussolini. L’ex Premier inglese gli inviò questa lettera, datata 26 febbraio 1947: . Il maiuscolo è nel testo. Anche questa lettera proviene dalle Carte di Dino Grandi conservate nell’Archivio Storico del Ministero degli Esteri di Roma. Un personaggio simile non deve essere ridimensionato da un serio ricercatore? E Francesco Perfetti è un serio ricercatore.


martedì 29 luglio 2008

sabato 26 luglio 2008

UN PAESE (NON NAZIONE) SENZA DECORO
“La nostra guerra contro il Giappone”
di Filippo Giannini

“Il Momento” era un quotidiano che vide la luce nell’immediato dopoguerra. Sul numero del 7 novembre 1945, in merito all’armistizio stipulato dall’Italia, si legge: .
Dovrei fare un commento a questo plorare di personaggi che hanno cercato quel che, poi, hanno ottenuto? Il disprezzo di coloro che hanno imposto una brutale occupazione, facendola apparire come una “liberazione” . Perché ne parlo oggi? Perché ancora oggi, a distanza di più di 60 (dico sessanta) anni, nulla è cambiato, almeno negli effetti. Infatti il mortificante armistizio del settembre 1943 è ancora operante. Un giornale di quel periodo lamentava: . Da questo scritto, ripeto, vecchio di oltre sessant’anni, cosa è cambiato?
Ancora oggi dobbiamo pagare le forze di occupazione, sottostare alle requisizioni, combattere le loro guerre, che tali sono anche se etichettate “missioni di pace”.
Fra le tante “maramaldate” voglio ricordarne una ignorata dalla maggior parte degli italiani, e agli italiani voglio lanciare un monito: “Non andate in Giappone, perché potrebbero prendervi e chiudervi in un campo di concentramento”. Perché? E’ semplice e, ricordando la cloaca nella quale siamo stati precipitati, mi avvalgo di un mio precedente intervento titolato:
IL TEMPO DELLE JENE
Pietro Nenni, partecipando ad uno “storico” Consiglio dei Ministri nel luglio 1945, così lo ricorda nel suo diario: .
Dopo aver ricordato che Ministri, uomini di governo e politici, erano tutti, più o meno, “interventisti”, Nenni sempre nel suo diario, così conclude: .
Bella domanda, vero? Ma andiamo avanti.
Il governo Parri (capo della resistenza), succeduto a quelli di Badoglio e Bonomi, trovò, in poco meno di sei mesi, il tempo e il modo di far scendere di nuovo in guerra l’Italia. Pur trovandosi a capo di un Paese distrutto e stremato da cinque anni di disastroso conflitto, Ferruccio Parri il 14 luglio 1945 volle ricominciarla, dichiarò guerra al Giappone, un Paese ormai sconfitto e col quale, giuridicamente, eravamo ancora alleati.
Giano Accame etichetta così l’iniziativa: !
A seguito dell’atto di guerra, non ci furono fra italiani e giapponesi - ripeto, sino a prova contraria ancora nostri alleati - scontri armati, né battaglie memorabili, solo perché pochi giorni dopo le due bombe di Hiroshima e Nagasaki risolsero la questione nell’american way.
Non mi risulta che con il Paese del “Sol Levante” sia stato firmato alcun trattato di pace, quindi dovremmo ancora essere in stato di guerra col Giappone.
E allora? Abbasso tutte le guerre? Non esageriamo, ci rispondono i paladini resistenziali firmatari del Trattato di pace del 1947: abbasso tutte le guerre, ma non quelle “giuste”, quelle, per intenderci, volute dai “liberatori”.
Ma l’italiano è un popolo intelligente, non cadrà in questa trappoletta: “Caro paisà, cà nisciuno è fesso”, non un italiano andrà in Afghanistan, in Iraq, e così via; l’italiano non è “bischero”, è “smart”; comprendi “paisà”?
Quindi, cari lettori, quando sentite i “bollettini di guerra”, scusate il lapsus, intendevo dire i “bollettini di pace” provenienti da quei Paesi del Medio-Oriente, che annunciano la morte o il ferimento di qualche militare italiano, non date ascolto: “E’ bieca propaganda nazi-fascista tendente a minare la democrazia e la libertà”.
Quanto è lontano quel tempo (eppure erano passati solo una manciata di anni) quando da ogni dove venivano economisti e politici per studiare il “fenomeno fascismo”, e il suo capo ci era invidiato da tutto il mondo. Lo hanno assassinato e impiccato per i piedi: unico modo per riconsegnare l’Italia all’”espressione geografica”.



P.S. Dopo aver visto con quanto entusiasmo è stato accolto Barrack Osama a Berlino, penso che anche la Germania non stia meglio dell’Italia.
Povera Europa!

martedì 22 luglio 2008

I SOLDATI EBREI AL SERVIZIO DI HITLER E MUSSOLINI

Quando la rivista di propaganda nazista “Signal” dedicò la copertina al “soldato tedesco ideale”, nel 1939, non poteva certo immaginare che quel volto appartenesse ad un giovane ebreo, il Gefreiter Werner Goldberg. Questa la foto più sorprendente, delle tante di ufficiali, generali, ammiragli, membri del partito nazista, contenute nel libro del giovane storico ebreo Bryan Mark Rigg, laureato alla Yale University, “I soldati ebrei di Hitler” pubblicato recentemente da Newton & Compton nella collana “I Volti della Storia” (pagine 395, 16,90 euro). Uno studio accurato, una documentazione quasi esasperata, durata anni di viaggi, di incontri, di esami dettagliati di documenti pubblici e privati, superando l’ostilità e il boicottaggio degli studiosi “ufficiali” della “questione ebraica”. Nella prefazione, Rigg racconta d’essere stato ispirato alla ricerca dalla visione d’un film, “Europa, Europa” in cui si racconta la storia dell’ebreo Perel che, falsificando la propria identità, prestò servizio nella Wehrmacht e studiò in un collegio per la gioventù hitleriana dal 1941 al 1945. Il film raccontava una vicenda reale. Tornato all’Università di Yale, dove frequentava il secondo anno di college, Rigg si mise al lavoro. Gli sarebbe bastato trovare una dozzina di Perel e ne avrebbe ricavato uno studio interessante. Ne trovò 150.000 e questo sconvolse tutte le sue certezze. Gli storici avevano sempre parlato di una cifra irrisoria di ebrei o mezzi ebrei (Mischlinge) che avevano militato sotto la croce uncinata.Mai tuttavia, ricoprendo alte cariche. Rigg iniziò una corsa contro il tempo, poiché quei veterani morivano ormai a migliaia di giorno in giorno. Si avvalse dell’effetto “valanga”, nel senso che ogni intervistato faceva i nomi di altri camerati. Quasi tutti si mostrarono disposti ad aprire le loro case e i loro cuori. In più autorizzarono il libero accesso ai fascicoli personali contenuti negli archivi. Vennero fuori documenti “che nessuno aveva mai esaminato prima” (siamo tra il 1994 e il ‘98!) e “furono dette cose che non erano mai state dette prima”. Le loro vicende costituiscono la testimonianza diretta d’una storia oscura e raccapricciante. Una storia che molti professori avrebbero preferito restasse nei cassetti. Ma Rigg appartiene a quella schiera ormai folta di storici ebrei che, sulla scia di Kath, Arendt, Kimmerling, Novick, Finkelstein e altri, vogliono la verità sull’Olocausto. La critica, quando non li accusa di filo-nazismo (come accade per Hanna Arendt), li considera “revisionisti” nell’accezione staliniana del termine. Sono quelli che alla domanda «perché un ebreo scrive queste cose?», rispondono: «Perché un ebreo NON dovrebbe scrivere queste cose?». Il suo lungo studio, i suoi documenti, i suoi testimoni, ci conducono in un mondo in cui avevamo sentito parlare in fretta e per accenni, ma che mai avevamo penetrato e di cui mai prima d’ora avevamo incontrato gli abitanti: il mondo dei “soldati ebrei di Hitler”. Una popolazione, non uno sparuto gruppo come si è voluto far credere per oltre mezzo secolo. Una popolazione con i suoi generali, i suoi ufficiali, le sue truppe. L’elenco di Rigg è sconvolgente. Il feldmaresciallo Erhard Milch, decorato da Hitler per la campagna del 1940 (aggressione della Norvegia). L’Oberbaurat della Marina e membro del partito nazista Franz Mendelssohn, discendente diretto del famoso filosofo ebreo Moses Mendelssohn. L’ammiraglio Bernhard Rogge decorato da Hitler e dall’imperatore del Giappone. Il comandante Paul Ascher, ufficiale di Stato maggiore sulla corazzata Bismarck. Gerhard Engel, maggiore aiutante militare di Hitler. Il generale Johannes Zukertort e suo fratello il generale Karl Zukertort. Il generale Gothard Heinrici. Il generale Karl Litzmann, “Staatsrat” e membro del partito nazista. Il generale Werner Larzahn decorato da Hitler. Il generale della Luftwaffe Helmut Wilberg dichiarato ariano da Hitler. Philipp Bouhler, Capo della Cancelleria del Fuhrer. Il maggiore Friedrich Gebhard, decorato da Hitler. Il superdecorato maggiore Heinz Rohr, l’eroe degli U-802, i sottomarini tedeschi. Il capitano Helmut Schmoeckel… Segue una sfilza di ufficiali, sotto-ufficiali, soldati. Tutti ebrei, o mezzi ebrei o ebrei per un quarto o addirittura per il 37,5 per cento, come il Gefreiter Achim von Bredow. Poi la ricerca scava impietosa fino ad un nome terribile: Reinhardt Heydrich, “la bestia bionda”, “Il Mosè biondo”, Capo dell’ufficio per la sicurezza del Reich, generale delle SS, “l’ingegnere dello sterminio”, diretto superiore di Heichmann. Era ebreo Heydrich? Molti assicurano di sì. Di certo suo padre lo era. Di certo gli fu accordata da Hitler “l’esenzione”.È una foiba, il libro di Rigg, da cui si estraggono scheletri che si voleva dimenticare, nome e fatti da cancellare. Nomi di uomini che fecero la storia del XX secolo.
Tra il 1848 e il 1938 la partecipazione dei cittadini di religione ebraica alle forze armate italiane fu attiva e decisiva sia in pace sia in guerra. Prendendo parte con valore a tutte le battaglie risorgimentali e a tutti i conflitti successivi, essi dimostrarono un forte senso d’identità con i destini della Patria e del regime fascista. Durante il Risorgimento il re Carlo Alberto concesse piena uguaglianza, integrazione ed emancipazione alla minoranza ebraica. Il patriottismo e il militarismo fecero il resto, sostituendo l’appartenenza religiosa, creando un’identità nazionale solida e annullando qualsiasi differenza tra cristiani e israeliti. La situazione imperturbata si protrasse anche in periodo fascista: alcuni collaboratori di spicco di Mussolini erano ebrei, circa 500 furono gli ebrei nella marcia su Roma, e il consenso non mancò, come non si esaurì il continuo affluire dei giovani israeliti in divisa.
La componente germanica fu essenziale nella formazione dell’ideologia sionista a seguito dell’importanza della comunità ebrea in seno ad altre comunità dell’Europa dell’Est (in particolare gli yiddish), anche se al contrario, il sionismo non ha influito per nulla nella comunità tedesca (…). L’influenza delle organizzazioni giovanili wandervögel, del militarismo prussiano, del patriottismo generato durante la I guerra mondiale, la nozione tedesca del “Blut und Boden” (sangue e suolo) hanno portato a considerare, durante un lungo periodo di tempo il sionismo tedesco, tanto da parte dei suoi detrattori quanto da parte dei suoi sostenitori, come una semplice copia dell’ideologia nazionalista tedesca. Durante gli anni 20, la comunità ebrea tedesca ha occupato un posto di preferenza nel movimento sionista mondiale, soprattutto attraverso la cosiddetta Zionistische Vereinigung für Deutschland (ZVfD), l’organizzazione sionista tedesca (…).
Molti dei militanti sionisti tedeschi erano ebrei provenienti dalla Russia e installati a Berlino, dove operavano intorno al Circolo della Gioventù Russa Sionista, intorno alla rivita Rassviet e alla Lega dei militanti Sionisti. I loro principali ideologi, Lichtheim e Jabotinsky, formarono il vertice esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale tra il 1921 e il 1923; anche se Jabotinsky fu allontanato dalla stessa per le tensioni che creò a causa delle sue tendenze secessioniste.
Già delegato della O.S.M. in Palestina durante la I Guerra Mondiale, Lichtheim fu sempre ostile ad una possibile uguaglianza di diritti tra Arabi ed Ebrei, così come a qualsiasi aspirazione nazionalista da parte degli Arabi. Riteneva che l’obiettivo prioritario della O.M.S. fosse stabilire in Palestina una maggioranza ebrea di popolazione, come preludio alla proclamazione di un “Focolare Nazionale” ebreo. Per lui, la ZVfD, la principale organizzazione ebrea tedesca, composta soprattutto da ebrei “assimilati”, non lottava in realtà per un “Focolare Nazionale” ebreo in Palestina, né per uno “Stato Socialista” (…) e, difendendo la doppia nazionalità, non si opponeva sufficientemente agli Inglesi, rifiutando l’ “autodifesa” ebrea che praticavano i gruppi terroristi dell’Hagganah. Il cosiddetto “revisionismo sionista” ottenne un forte impulso con la rivista fondata da Lichtheim, Revisionistische Blätter e con la creazione di una frangia del movimento di Jabotinsky, il Landesverband der Zionisten-Revisionisten in Deutschland, il suo obiettivo principale fu di diffondere il sionismo tra la gioventù ebrea tedesca.
I revisionisti, anche se avevano obiettivi simili ai sionisti, si differenziavano da costoro in quanto al metodo. Ottennero un numero significativo di delegati al Congresso Sionista Mondiale di Zurigo, soprattutto dopo le notizie della violenza scatenata in Palestina dagli Arabi (133 ebrei assassinati dagli Arabi e 339 feriti): 12 delegati su un totale di 149.
Il Betar nella Germania hitleriana
I membri del Landesverband der Zionisten-Revisionisten in Deutschland (i revisionisti tedeschi) cominciarono a prevalere qualitativamente e quantitativamente tra la gioventù ebrea tedesca. Due furono le conseguenze di questo cambio: gli attacchi continui alle altre due organizzazioni sioniste giovanili (il Blau-Weiss e la Hapeol-Hatzair), e l’arrivo a Berlino nel 1928 dell’organizzazione tedesca del Betar, presente in Austria dal 1926.
Ne maggio 1933 il Betar fu escluso, assieme al Landesverband, dalla lista dei movimenti giovanili della O.S.M. con lo scopo di evitare problemi, mentre i revisionisti optarono per non assecondare il boicottaggio antitedesco da parte della O.S.M. Il movimento della gioventù fu ribattezzato come National Jugend Herzlia, sotto il comando di Willi Cegla. Nonostante tutto, il movimento Hertzlia è considerato dagli storici e dallo stesso Istituto Jabotinski di Tel-Aviv come un ramo del Betar durante il III Reich.
Favorire le organizzazioni di giovani ebrei che si proponevano l’emigrazione di massa verso Israele fu un’idea personale di Reinhardt Heydrich. Il Betar potè disporre così di un locale ufficiale confiscato alla Hachomer Hazair (un movimento giovanile sionista di sinistra) nel centro di Berlino, dalla cui finestra sventolava in strada la bandiera bianca e blu con al centro la Menorah (l’insegna sionista) … a fianco del gagliardetto con la croce gammata.
Il Betar fu senza dubbio un’organizzazione singolare. L’unica a continuare con le sue marce in uniforme a Berlino anche dopo l’ascesa al potere di Hitler. Nel maggio 1933, i documenti della polizia di Berlino testimoniano di un’affluenza di massa di Ebrei a una manifestazione organizzata dal Betar sotto la direzione di Georg Karenski, al comando delle sue squadre in uniforme.
Contro la decisione presa il 19-12-1934 che proibiva ai membri dei movimenti giovanili ebrei qualsiasi tipo di manifestazione pubblica, il 13-4-1935 la polizia bavarese, feudo personale di Himmler e Heydrich, permise al Betar di sfilare in uniforme: “Non esiste alcuna ragione di esercitare pressioni amministrative contro le attività sioniste in Germania, perché il sionismo non si oppone al programma del Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi”, avevano scritto i dirigenti sionisti in una lettera diretta al Ministero degli Interni. La B’rith Haschomrim e la Herzlia-Betar furono le uniche organizzazioni ebree autorizzate ufficialmente a sfilare in pubblico con le loro uniformi (camichia kaki, pantaloni marrone scuro, stivali, casco, cinturone militare, etc.) al fine di aumentare il proselitismo tra i giovani ebrei, “perché i sionisti non si oppongono allo Stato, e di fatto i loro obiettivi si orientano ad ottenere l’emigrazione dei loro membri verso la Palestina; e mentre diffondono la politica di emigrazione coincidono con gli obiettivi del governo del Reich di favorire l’uscita degli Ebrei dalla Germania”… Per i pochi storici che hanno studiato questo avvenimento, questa autorizzazione era ristretta alle sole riunioni interne. Però succedevano anche alcuni casi, di cui esistono documenti fotografici, di sfilate per le GoetheStrasse di Berlino, di attività militari in campi all’aria aperta. Le autorità nazional-socialiste autorizzarono, in ogni caso, il Betar a continuare le sue attività senza problemi (riunioni, assemblee generali, campi di allenamento, escursioni, attività sportive, manifesti e bandiere, formazione agricola, etc.).
Un episodio completamente surreale, allo sguardo dei contemporanei, si verificò quando, secondo la documentazione esistente,un gruppo di SS attaccò un campo estivo del Betar: il capo del movimento si presentò al quartier generale della Gestapo a Berlino, con il risultato che pochi giorni dopo l’ufficio della polizia segreta annunciò la condanna degli assalitori (…).
Le assemblee e i meetings sionisti furono molto comuni nella Germania nazional-socialista. Il 20-3-1938, un emissario straniero della O.M.S., Arthur Rupin, fu autorizzato ad entrare in Germania come oratore, per informare sulle conseguenze della rivolta araba del 1936 in Palestina. Nel mese di settembre del 1939, scoppiata da poco la guerra, la Gestapo autorizzò una delegazione di sionisti tedeschi a partecipare al XXI Congresso Sionista, organizzato a Ginevra.
Georg Kareski: capo del Betar e collaboratore dei nazi.
Lichtheim emigró in Palestina nel 1933 per assumere la presidenza del Judenstaatspartei, partito politico che usufruiva di un ufficio generale in Tel-Aviv e di una delegazione a Londra. Nell’aprile del 1934, i revisionisti tedeschi riescono a riunificarsi e si raggruppano in una nuova organizzazione, Staatzionistische Organisation, indipendente da tutte le organizzazioni internazionali. Questa organizzazione fu diretta da Georg Kareski, il quale è stato presentato, anche attualmente, come il prototipo dell’ebreo collaboratore dei nazisti. Originario di Poznan, Kareski fu attratto dall’antisocialismo e dallo stile politico dei revisionisti, ed era in contatto con i capi ebrei dell’Europa orientale.
Contrario al ZVfD, che riteneva troppo di sinistra, però allo stesso tempo moderato, Kareski si dedicò per mesi a fare propaganda tra la stampa ebrea del Zentrum Partei di Franz von Papen, del quale fu membro durante gli anni 1919 e 1920. In un periodo in cui si moltiplicavano i matrimoni misti nei “felici anni venti” berlinesi, Kareski creò, nel 1926, il Jüdisches Volkspartei, un partito “isolazionista”, dedicato a preservare gli ebrei da tutte le influenze straniere nei campi della vita sociale, culturale, religiosa. Nel gennaio del 1929, rifiutò di essere eletto Gemenindevorstand all’assemblea rappresentativa della comunità ebraica berlinese, però fu eletto presidente del Vorstand, vale a dire, presidente della stessa comunità, anche se i liberali gli strapparono la carica un anno dopo. Il suo partito esercitò un’influenza minima in seno al sionismo tedesco, non riuscendo ad ottenere più di 1200 degli 8500 voti necessari per inviare un delegato al Congresso Sionista Mondiale del 1931.
L’uscita di Richard Lichtheim aveva creato un vuoto giusto nel momento in cui il movimento sionista-revisionista si preparava a prendere decisioni in vista di fronteggiare i problemi derivati dall’ascesa al potere del Partito Nazional-Socialista. Kareski rimase separato per lungo tempo dal movimento revisionista internazionale, soprattutto a causa delle sue continue crisi (nel marzo del 1933, Jabotinski sciolse l’esecutivo dell’Unione Sionista Mondiale con il fine di rinnovarlo mediante un plebiscito popolare tra la base. In modo autonomo, nel 1932, uno dei principali dirigenti del Partito nazional-Socialista, Gregor Strasser, aprì la via del dialogo nelle pratiche ufficiali, per trattare direttamente con la comunità ebrea tedesca, in concretto con la corrente revisionista, con il ZVfD, rivolgendosi direttamente a Karenski e a Kurt Blumenfeld per discutere sul problema ebraico, senza previe condizioni, secondo la testimonianza di Karenski a Gerusalemme nel 1937. Karenski accetta, mentre Blumenfeld rifiuta, dichiarando che il NSDAP non aveva ancora conquistato il potere. L’incontro non si verificò mai a causa della perdita di influenza ed ai problemi politici di Strasser (…).
Il Judenstaatspartei organizzó una serie di riunioni ufficiali in Germania nel 1934, fino al suo raggruppament in aprile nella già citata Staatszionistische Organisation, dove la questione del “revisionismo” fu il fatto dominante. L’organizzazione era diretta da Georg Kareski, Adolf Hirschfeldt e Willi Cegla, capo della National Jugend Herzlia, nuova denominazione del Betar tedesco. Il suo organo ufficiale fu il Der Staatszionist, bimensile diretto da Max Schulmann. La prima Conferenza Generale del Reich ebbe luogo a Berlino tra il 13 e il 14 ottobre del 1934. Tutti gli oratori attaccarono il ZVfD, accusandolo di favorire l’assimilazione e di opporsi all’installazione degli Ebrei in Palestina. Questa propaganda continuò fino al 1938, data dello scioglimento del ZVfD, organizzazione che di fatto disponeva del monopolio del rilascio dei certificati di emigrazione verso la Palestina.
L’ostilità di Karenski e della sua Staatszionistische Organisation contro il ZVfD per ottenere la supremazia nel movimento sionista tedesco, arrivò a livelli mai visti in nessun altro paese tra i sionisti, acuito soprattutto dal processo instaurato a Gerusalemme da Karenski, nel novembre 1934, contro la Hitachduth Olej Germania, un’associazione che raggruppava sionisti di tutte le tendenze emigrati dalla Germania, tra i quali figuravano alcuni revisionisti. La HOG, dai suoi organi, lanciò contro Karenski quattro accuse: quella di pretendere, con l’appoggio dei nazisti e contro la volontà delle organizzazioni ebreee tedesche, di imporsi come leader di questa comunità; quella di cospirare per distruggere la ZVfD prima della sua esclusione nel 1933 e di attaccarla costantemente come una organizzazione marxista favorevole all’assimilazione ebrea; quella di aver pubblicato su una rivista minacce di morte contro Sigfrid Moses, uno dei rappresentanti della ZVfD; e quella di dirigere l’Ivria Bank, una organizzazione finanziaria che fallì nel 1937 e che causò la rovina di molte famiglie ebree e inoltre di utilizzare le sue relazioni con la Gestapo contro i suoi accusatori. Nel giugno del 1938, il Rabbinatsgericht di Berlino, lo accusa di pianificare il suo arresto con l’aiuto della Gestapo, denuncia la fine della carriera politica di Karenski.
Alla fine del 1937, l’organizzazione di Kareski contava non più di 1000 membri, 500 dei quali erano betarim. La sua influenza nella comunità ebrea tedesca era nulla, come testimoniano i documenti dei servizi d’informazione tedeschi. Anche così, la SD era convinta che Karenski e il suo partito erano legati in segreto al sionismo revisionista internazionale. Nel 1938 si decise a sciogliere il suo movimento essendosi legato con la nuova organizzazione sionista di Jabotinsky. Però il costante rifiuto di visti da parte dell’Ufficio della Palestina (ricordiamo, visti rilasciati dal governo inglese) ai membri del Betar tedesco, provocò la rottura tra Kareski e Jabotinski.
Fatto sta che, in un modo o nell’altro, Karenski si impose come leader della comunità ebraica tedesca, cosa che obbligò i tedeschi a cambiare i loro piani. Lo “reclutarono” come rappresentante della “Reichverband Jüdischer Kulturbunde” (Lega Culturale Ebrea del Reich), un’organizzazione incaricata di trovare lavoro agli ebrei nei settori artistici. L’operazione abortì per l’opposizione degli artisti ebrei. Altre operazioni montate dalla Gestapo per proteggere Kareski, fallirono.
Le basi della politica di Kareski non si riducevano ad una cooperazione passiva nella liquidazione controllata del giudaismo tedesco, ruolo che corrispondeva alla ZVfD, bensì al contrario fu una politica attiva di collaborazione per raggiungere gli obiettivi perseguiti dai nazisti. In numerosi discorsi, Kareski affermò che la liquidazione degli ebrei tedeschi da parte di Hitler, era in realtà positiva, un elemento essenziale del sionismo, che avrebbe dovuto essere raccolto con entusiasmo dalla comunità ebraica. Era solito finire i suoi discorsi con una formula per nulla ambigua: “Un popolo, un paese, un Dio!”. In un discorso del marzo 1935, affermò di nuovo che gli ebrei dovevano riconoscere i vantaggi reciproci e i benefici che derivavano dalla politica del momento, tanto per loro come per i tedeschi, facendo un appello a dirigere gli sforzi verso un’autodissoluzione organizzata, denunciando le illusioni di un cambio nella politica tedesca. Lancia infine un appello ai tedeschi, perché facilitino l’uscita degli ebrei verso la Palestina, promuovendo una formazione professionale che li aiuti a ricominciare una vita nel nuovo paese. La Staatszionistische Organisation si pronunció allora per un’uscita ordinata di tutta la comunità ebrea tedesca verso l’”Eretz Israel”. Kareski ideò un piano dio emigrazione secondo la scala delle specializzazioni, delle professioni, dell’età, etc.
L’adozione delle Leggi di Norimberga nel settembre del 1935, diede a Kareski una nuova occasione per sviluppare le sue attività. Der Angriff, il giornale di Goebbels, pubblicó in prima pagina un’intervista con Kareski dove questi salutava le nuove leggi razziali come un’occasione propizia per conservare la purezza della razza ebrea. Secondo lui, i nazisti dovevano assicurare agli ebrei un’esistenza autonoma, particolarmente nell’ambito dell’economia.
Differenze puramente tattiche
Come ha detto F.R. Nicosia, “Le nuove realtà imposte agli ebrei dal nazionalsocialismo hanno provocato un consenso tra i gruppi sionisti e gli obiettivi sono sempre stati gli stessi tra i critici e i membri della ZVfD; essenzialmente e logicamente, riflettevano solo i fondamenti della filosofia sionista.” Kareski, a differenza degli altri, pensava che per i nazisti egli poteva essere il rappresentante dei “buoni ebrei”. Niente gli ha mostrato maggiormente il suo errore che la reazione delle autorità tedesche contro le sue posizioni: la Staatszionistische Organisation non beneficò mai di nessuna considerazione particolare rispetto alle altre organizzazioni sioniste, se non per un’autorizzazione speciale concessa al Betar (National Jugend Herzlia) di sfoggiare le proprie uniformi durante le riunioni. Per il resto, la posizione ufficiale oscillò tra il sospetto e l’indifferenza. La federazione sionista tedesca (ZVfD) accusò di debolezza e tradimento Kareski per aver moltiplicato i suoi propositi di alleanza con il regime nazionalsocialista. Però la ZVfD inviò un memorandum di appoggio al NSDAP il 21 giugno 1933. Nel memorandum possiamo leggere: “Il sionismo non si fa alcuna illusione sulla difficoltà della condizione ebraica che di fondo consiste in una struttura sociale anomala ed in una posizione intellettuale non radicata in una tradizione propria. Il sionismo da tempo si è reso conto che le tendenze assimilatrici presuppongono un deterioramento della purezza dei gruppi ebrei e tedeschi. Una rinascita della vita nazionale, come quella che si è prodotta in Germania come conseguenza della sua adesione ai valori cristiani e nazionali, deve egualmente prodursi nel gruppo nazionale ebreo. Anche per gli ebrei, l’origine nazionale, la religione, il senso di un destino comune e il senso della loro singolarità, devono avere un significato decisivo per costruire il futuro. Possiamo dire che l’individualismo forgiato durante l’epoca liberale deve lasciare il posto a un senso della comunità e della responsabilità collettiva (…) crediamo che precisamente la Nuova Germania quella che, grazie ad una volontà determinata di risolvere il problema ebraico, possa risolvere un problema che corrisponde a tutti i popoli europei (…) Il nostro riconoscere la nazionalità ebrea potrà gettare le basi di una sicura amicizia con il popolo tedesco e le sue realtà sociali e razziali. E soprattutto in quanto ci pronunciamo contro i matrimoni misti e ci impegnamo a conservare la purezza del gruppo razziale ebreo, noi rifiutiamo qualsiasi mescolanza culturale. Noi, che non siamo né linguisticamente né civilmente tedeschi, manifestiamo la nostra ammirazione e la nostra sincera simpatia per la cultura e i valori tedeschi (…) Per puntare ai suoi obiettivi pratici, il sionismo spera di essere capace di collaborare anche con un governo ostile agli ebrei, perché nella soluzione del problema ebreo, non c’è posto per il sentimentalismo, dovendo affrontare il problema cercando di risolverlo nel modo più interessante per tutti e due i popoli e, principalmente, in questo momento, per il popolo tedesco (…) La realizzazione del sionismo non passa per il risentimento degli ebrei stranieri contro la propaganda tedesca (…) La propaganda favorevole al boicottaggio contro la Germania è, essenzialmente, non sionista, perché il sionismo non è per la distruzione ma per ostruire ed edificare”. La ZVfD doveva così sforzarsi di “sollevare tra gli ebrei stranieri il boicottaggio antitedesco, (con la condizione) di essere considerata come l’organizzazione ebrea più rappresentativa al momento di trattare con la Nuova Germania”.
Lungi dal denunciare questa politica, lo stesso congresso dell’Organizzazione Sionista Mondiale, rifiutò una mozione che chiamava alla mobilitazione contro Hitler, per 240 voti contro 43. “Nel momento in cui iniziava il congresso, Hitler annunciò la conclusione di un accordo commerciale con la Banca Anglo-Palestina dell’OSM, accordo che ruppe il boicottaggio ebreo contro il regime nazista in un’epoca nella quale l’economia tedesca era straordinariamente vulnerabile, soffrendo ancora della Grande Depressione che avava lasciato il marco senza valore effettivo sui mercati. La OSM ruppe il boicottaggio e si convertì in uno dei principali distributori di merci naziste in Medio Oriente e in Europa del nord. La OSM fondò l’ Ha’arara, una banca con sede in Palestina, destinata a ricevere denaro dalla borghesia ebrea tedesca, nella quale i commercianti nazisti compravano a credito importanti quantità di merci (…)”.
Contro i matrimoni misti
Ciò nonostante, in quel periodo Jabotinsky si proninciava a favore del boicottaggio antitedesco. Dichiarava che nella lotta contro la Germania, il boicottaggio era una delle armi principali. Nel 1934, un emissario della comunità ebrea tedesca, Siegfried Stern, andò a Parigi con l’intenzione di persuadere Jabotinsky affinché moderasse la sua campagna antitedesca, e lo fece con il consenso tacito del Ministero degli Interni, della Gestapo e dell’ufficio per la Politica Razziale del NSDAP. A differenza delle altre organizzazioni ebree, i dirigenti del sionismo tedesco furono autorizzatib a mantenere tutte le relazioni che avevano con i loro colleghi stranieri.
Dopo le Leggi di Norimberga, riguardanti la proibizione dei matrimoni misti e le relazioni sessuali tra ebrei e tedeschi (con un articolo che indicava espressamente che gli Ebrei costituivano una nazionalità straniera minoritaria), il Jüdische Rundschau, controllato dalla ZVfD, si congratulò per l’adozione di queste misure: “Las Germania ha soddisfatto le richieste del Congresso Sionista Mondiale dichiarando che gli ebrei residenti in Germania costituiscono una minoranza nazionale (…) Le nuove leggi offrono alla minoranza ebreqa in Germania la loro propria via culturale, la loro propria via nazionale. Nel futuro sarà loro possibile fondare proprie scuole, propri teatri, proprie associazioni sportive. In breve, il popolo ebraico potrà forgiare il proprio avvenire in tutti gli aspetti della vita nazionale”.
Georg Kareski non arrivò oltre nella sua famosa intervista al giornale di Goebbels: “Dopo lunghe riflessioni, sono convinto che una separazione completa tra le culture dei nostri due popoli è la condizione necessaria per una coesistenza senza conflitti (…). Da molto tempo sono favorevole ad una separazione così, che riposa su di un rispetto delle nazionalità straniere (…). Le Leggi di Norimberga, al di là delle loro considerazioni giuridiche, propongono una vita separata sulla base del mutuo rispetto (…) Questa interruzione del processo di dissoluzione di numerose comunità ebraiche, dissoluzione che si realizzava nei matrimoni misti, è, dal punto di vista ebraico, recepita favorevolmente”. Come lo scrittore Brenner, i dirigenti sionisti “erano convinti che le leggi razziali, opponendosi ai matrimoni misti, dessero l’occasione di considerare di Ebrei come stranieri residenti in Germania e questo avrebbe obbligato Hitler a esercitare su di loro una protezione diplomatica”. Non c’è da meravigliarsi che il giornale revisionista palestinese Hapoel Hatsaïr dichiarasse che le persecuzioni agli Ebrei tedeschi erano un “castigo” contro coloro che volevano integrarsi in una società che non era la loro: “Gli Ebrei tedeschi non sono perseguitati oggi per i loro sforzi per creare una nazione, ma per il loro poco impegno nel conseguirla”.
Favorire l’emigrazione ebrea
La cooperazione tedesco-sionista riposava su di un accordo firmato nell’agosto del 1933, lo Ha’avara (”trasferimento”, on ebraico), tra il governo tedesco e Chaim Arlozoroff, segretario politico dell’Agenzia Ebrea, il braccio palestinese dell’OSM. Furono create due compagnie: la Ha’avara Company, a Tel-Aviv, e la Paltreu, a Berlino. Ogni emigrante ebreo tedesco avrebbe depositato la propria quota (minimo 1000 lire sterline, imposte dal governo britannico) in un fondo speciale in Germania; le 1000 sterline (più o meno il salario di 3 anni di una famiglia borghese) sarebbero state poi rimborsate, per valigia diplomatica, in Palestina, facendosi così beffe dei controlli doganali.
Lungi dal preoccuparsi per le condizioni degli Ebrei tedeschi, l’Agenzia Ebrea, responsabile dell’emigrazione verso la Palestina e controllata dai sionisti, si preoccupava più per la qualità degli immigrati, per la loro capacità di lavoro, etc. “Il materiale umano arrivato dalla Germania è ogni volta più scadente”, denunciava l’Agenzia Ebrea nel 1934. “Non arrivano con l’idea di lavorare, ma per ricevere assistenza sociale”. Tom Serguev osserva che, nel 1935, l’Agenzia “inviò a Berlino una nota sul numero di persone che bisognava inviare in Palestina”. Lo stesso Serguev rivela che i responsabili del lavoro sociale dell’Agenzia Ebrea avvertirono che delle persone giunte con malattie e in stato di bisogno, sarebbero state rispedite nella Germania nazista. Nel 1935 si decise di consegnare i certificati di immigrazione “con la condizione che nulla autorizzi a pensare che gli immigrati possano rappresentare un peso per il paese (…) Ogni persona dedita al commercio o ad altre attività simili non riceverà il certificato in nessun caso, a meno che non si tratti di un veterano militante sionista”.
Dal 1933 al 1935, la OSM rifiutò il visto a oltre i due terzi dei richiedenti, dichiarando tra l’altro di privilegiare i giovani sugli anziani. Berrel Katznelson, editore del giornale sionista di sinistra Da’var, descrisse questo “crudele criterio del sionismo”: “Gli Ebrei tedeschi sono costretti a inviare i giovani senza compagnia; senza i mezzi necessari per costruire una colonia sionista in Palestina. Non parlano ebraico e non capiscono che cosa sia il sionismo. Di fronte agli Ebrei che si vedevano condannati allo sterminio, l’OSM non solo non fece nulla per evitarlo, bensì si opposero a tutti gli sforzi che venivano fatti per trovare rifugio agli Ebrei che fuggivano”.
http://www.qlibri.it/saggistica/stor…-di-mussolini/
http://www.libreriauniversitaria.it/…/9788882899899
http://www.sodalitium.biz/index.php?…ry_view&iden=5)