venerdì 11 dicembre 2009
mercoledì 18 novembre 2009
CANZANO 1- La politica filo-araba del fascismo aveva un fine prettamente idealistico o politico-ideologico o sottintendeva anche a un discorso territoriale? FABEI- Nei primi otto anni di potere Mussolini non portò avanti un’autonoma politica araba per diverse ragioni: la politica estera italiana aveva come punto di riferimento quella inglese e dall'andamento dei rapporti con la Gran Bretagna dipendeva l’atteggiamento di Roma verso gli arabi; inoltre gli impulsi a una politica estera rivoluzionaria, verso questa parte del mondo, sostenuta dai fascisti più dinamici, erano soffocati dall’influenza esercitata sul regime da nazionalisti e cattolici conservatori. Nella seconda metà degli anni Venti il Duce, per quanto riguarda il vicino Oriente, tentò di creare un contrappeso alla posizione storica di predominio dell'Inghilterra e della Francia e assumere in qualche modo la loro eredità mediante l’influenza culturale, economica e politica italiana in Siria, in Palestina, in Egitto e sul Mar Rosso. Per questo obiettivo si schierò al fianco degli arabi, che però scarsamente ricambiavano le simpatie di Roma, dato che era in corso la riconquista della Libia, colonia che, secondo gli italiani, doveva essere allargata a ovest con la Tunisia, ritenuta importante dal punto di vista strategico. L’area su cui l’Italia mirava a esercitare il controllo comprendeva la penisola araba, l'Iraq, la Siria, la Palestina, l'Egitto, il Maghreb e la costa orientale africana fino al Tanganica, tutti Paesi alla ricerca dell’indipendenza. I movimenti anticolonialisti in lotta contro la Francia e l'Inghilterra non arrivavano, allora, ad azioni unitarie di vaste proporzioni: la rivoluzione del Partito Wafd in Egitto (1919-1920), il movimento Destour in Tunisia (1922-1929), o anche i fermenti antisionistici in Palestina (1922-1929), permettono di concludere che le intenzioni italiane potevano realizzarsi solo contro la resistenza araba e franco-britannica. Fu dall’inizio degli anni Trenta che la politica araba del regime cominciò a caratterizzarsi in senso più autonomo. L'Italia tendeva adesso a presentarsi come «ponte» tra Oriente e Occidente e a diventare un punto di riferimento per le nazioni islamiche. Tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare l’azione culturale ed economica in Medio Oriente e nell'area arabo-islamica in generale. Senza dubbio un'iniziativa tendente ad accentuare tale programma fu l'inizio a Bari della Fiera del Levante. Nel 1933 e nel 1934 furono organizzati a Roma, sotto il patrocinio dei Gruppi universitari fascisti, i GUF, due convegni degli studenti asiatici, e Radio Bari iniziò le sue trasmissioni in lingua araba nel maggio del 1934. Le linee direttive della politica araba italiana emersero il 18 marzo di quell’anno dal discorso che il Duce pronunciò all'assemblea quinquennale del regime in cui disse che di tutte le potenze occidentali la più vicina all'Africa e all'Asia era l'Italia, chiarendo di non pensare a conquiste territoriali, ma a una politica di collaborazione con le nazioni arabe. Il Mediterraneo doveva riprendere la sua funzione storica di collegamento fra l'Est e l’Ovest. In tale contesto sono da inserirsi la creazione, nel giugno 1935, dell'Agenzia d'Egitto e d'Oriente con sede al Cairo, come di altre istituzioni come l'Istituto per l'Oriente e l'Istituto orientale di Napoli, centri di attività culturale, ma anche politica. CANZANO 2- Quali sono state le principali differenze tra la politica araba del fascismo e del nazionalsocialismo? FABEI - Al contrario dell'Italia, il Terzo Reich aveva, nei Paesi arabi, obiettivi solo economici. Dopo la sconfitta del 1918, la Germania aveva perso le sue poche colonie e con esse gran parte dei mercati interessanti il commercio tedesco. A quest’ultimo, almeno per quanto riguarda i rapporti coi Paesi dell'Oriente, aveva poi assestato un altro duro colpo la crisi del 1929. La Repubblica di Weimar non rinunciò a recuperare le colonie strappatele a Versailles, ma la Società delle Nazioni si rifiutò di procedere alla loro restituzione come «mandati». La propaganda contro «la menzogna della colpa coloniale» e la richiesta di terre per l'emigrazione e di mercati, fu condotta da vari gruppi e organi di stampa, ma questo problema, nella politica estera weimariana, ebbe una parte poco rilevante. Fino al Terzo Reich le discussioni rimasero sul terreno accademico. Hitler, nel Mein Kampf, aveva fatto da tempo i conti con la politica estera guglielmina e messo da parte qualsiasi possibilità di espansione extraeuropea per orientarsi verso l'Est europeo, in cui, secondo lui, stava il Lebensraum, lo spazio vitale necessario al popolo tedesco. A parte le non sempre chiare prese di posizione ideologiche contro il colonialismo esposte nella sua opera, Hitler, negli anni del potere, si disinteressò quasi sempre alle colonie. Qualche volta furono usate come strumento di pressione sull'Inghilterra e le altre potenze occidentali, ma la sfida tedesca rimase più che altro un intermezzo diplomatico e non si trasformò in un vero pericolo per il predominio coloniale europeo. L'atteggiamento tedesco non fu neppure propriamente anticolonialista. Dal 1935 in poi il Reich iniziò a importare dai Paesi orientali, in quantità sempre maggiori, rame, nichel, tungsteno, cromo, prodotti agricoli e a esportare in essi prodotti farmaceutici, chimici, articoli elettrotecnici, generi di chincaglieria, mezzi di trasporto e impianti ferroviari, nonché attrezzature industriali e, in misura crescente, materiali bellici. Ciò contribuì ad aumentare la stima per la Germania e il disprezzo per Francia e Gran Bretagna. Fin dal 1934 poi la Germania svolse in Siria, in Palestina, in Iraq e in Libano, un'intensa opera di propaganda attraverso l'Ufficio di politica estera, diretto da Alfred Rosemberg. I nazionalsocialisti miravano a eccitare l'elemento arabo contro gli ebrei e contro la Francia e l'Inghilterra, e a preparare la rivolta del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale nell'eventualità di una guerra europea. Nel 1937, Baldur von Schirach, il capo della Gioventù hitleriana, con altri rappresentanti del suo governo, visitò Iran, Iraq, Siria e Turchia, suscitando ovunque consensi. La recente riapertura di legazioni, consolati, scuole e istituti del Reich nel Vicino Oriente era ben vista perché la Germania aveva lasciato un buon ricordo della sua collaborazione con la Turchia durante la Prima guerra mondiale. La condotta dei suoi ufficiali e soldati nei Paesi arabi era stata ottima; non avevano mai commesso spoliazioni e usurpazioni, pagando tutto quello che occorreva loro. Insomma erano stati modelli d'onore militare, e anche dopo i loro tentativi di penetrazione si erano limitati alla cultura e al commercio. Nessuna mira espansionistica in Africa settentrionale o nel Vicino Oriente… CANZANO 3- Nei suoi studi sulla politica mediorientale del fascismo, si è mai chiesto quale situazione si sarebbe venuta a creare qualora l'Asse avesse vinto la guerra e tanto le mire italiane quanto quelle tedesche si fossero concentrate in una ridefinizione di quella parte del mondo rispondente ai propri interessi? FABEI - La diversità di obiettivi tra Italia e Germania nell'area mediterranea aveva portato Hitler, il 24 ottobre 1936, giorno precedente la costituzione dell'Asse, a dichiarare a Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri italiano, che il Mediterraneo era un mare italiano e che qualsiasi modifica futura nell'equilibrio di quell’area doveva andare a favore dell'Italia, così come la Germania doveva avere libertà di azione verso l'Est e verso il Baltico. Orientando i dinamismi italiano e tedesco in queste direzioni esattamente opposte, non si sarebbe mai avuto un urto di interessi tra le potenze fasciste. In altri termini, secondo Hitler, i Paesi arabi sotto controllo francese e inglese facevano parte, quasi nella loro totalità, della sfera di influenza dell'Italia. Se l'Asse avesse vinto la guerra, e i patti tra Hitler e Mussolini fossero stati osservati, l'Italia avrebbe esercitato sul Mare Nostrum la propria egemonia, dal Marocco all'Iraq. I tedeschi, da parte loro avrebbero probabilmente rivendicato quale propria sfera di influenza i Paesi a oriente dall'Iran all'Afghanistan, all'India, dove però anche il Giappone aspirava a esercitare la propria leadership. Era comunque l’Italia ad avere i maggiori interessi nell’area nordafricana e mediorientale. Con l’assunzione, il 18 marzo 1937, del titolo di Spada dell'Islam da parte del Duce si aprì, non a caso, un altro capitolo della politica araba del fascismo che diventò argomento della stampa di regime: aumentarono gli articoli e gli studi di autori arabi e musulmani, alcuni dei quali riguardanti i legami ideologici tra fascismo e islamismo e la maggior corrispondenza del fascismo, rispetto al comunismo, ai valori religiosi, morali e ideologici degli arabi. Per quanto riguarda l'aspetto culturale e storico-politico della questione si assistette a una serie di iniziative curate da studiosi e da istituzioni quali il Centro studi per il vicino Oriente e l'Istituto di studi di politica internazionale. CANZANO 4- Si trattò quindi di una vera svolta nella politica del fascismo… FABEI - Sì, ma non più di tanto perché la politica araba dell'Italia restava ancora, tra il 1936 e il 1939, condizionata dall'andamento delle relazioni con Londra. Temendo che l'Inghilterra, grazie alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina, rafforzasse le sue posizioni nel Mediterraneo orientale, l'Italia, grazie ai programmi trasmessi da Radio Bari, iniziò ad aizzare le popolazioni arabe contro gli inglesi. La carta araba, negli interventi di Mussolini e di Ciano, continuò a essere considerata moneta di scambio nel caso che si fosse aperto un varco per un'effettiva trattativa per un accordo generale mediterraneo tra Roma e Londra; tanto è vero che, sull'onda delle speranze suscitate dagli «accordi di Pasqua», Roma bloccò subito gli aiuti ai movimenti antibritannici mediorientali – molto consistenti ai palestinesi – e moderò il tono delle trasmissioni di Radio Bari. CANZANO 5- I tedeschi, in quegli anni, che atteggiamento assunsero verso i nazionalisti arabi? E questi ultimi cosa si aspettavano dalla Germania? FABEI - Berlino sviluppò allora una politica non molto diversa da quella di Roma. Il ministro degli Esteri di Hitler, il 1° giugno 1937, inviò un telegramma alle sue rappresentanze di Londra, Bagdad e Gerusalemme da cui emergeva la contrarietà del Reich alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina che se non era ritenuto capace di assorbire gli ebrei di tutto il mondo, avrebbe comunque creato per il giudaismo una base di potere sancita dal diritto internazionale. Per gli arabi questo era già qualcosa, ma si aspettavano dal Hitler un po' di più di una semplice, per quanto gradita, manifestazione di simpatia, peraltro priva di impegni. Il 15 luglio 1937, Hajj Amin al-Husayni, il Gran Mufti di Gerusalemme e della Palestina, in un colloquio con il console generale tedesco, cercò di ottenere una chiara risposta alla domanda circa la disponibilità della Germania a contrastare, pubblicamente, l'eventuale costituzione di uno Stato ebraico. Due giorni dopo il primo ministro iracheno, Hikmet Suleiman, fece capire all'ambasciatore tedesco a Bagdad che il suo governo contava sull'appoggio tedesco, oltre che turco e italiano, nel momento in cui alla Lega delle Nazioni l'Iraq si fosse opposto al piano di divisione della Palestina in tre zone. Se Ribbentrop era disposto ad appoggiare il rappresentante iracheno alla Lega delle Nazioni, Hitler tuttavia non si impegnò, nella questione palestinese, al fianco degli arabi, almeno in un primo momento. CANZANO 6- Per quale ragione? FABEI - Perché, come nella politica araba dell'Italia, così in quella della Germania si tendeva a non pregiudicare i rapporti con l'Inghilterra. Pertanto Berlino in principio si astenne dal fornire armi ai nazionalisti arabi e dal rafforzare la loro resistenza alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina. Comunque nella capitale del Reich non tutti condividevano questa posizione, cui, per forza di cose, dovevano adeguarsi perché era al Führer che spettava, in ogni caso, l’ultima parola. Si tentarono, con cautela, altre strade per sviluppare rapporti col mondo arabo. Dal 1937, per esempio, la Germania iniziò a intrattenere relazioni diplomatiche con l'Arabia Saudita che mirava a mantenere la propria «indipendenza» dall'Inghilterra, la cui influenza si estendeva a tutti gli Stati circostanti. Ibn Sa'ùd chiese a Berlino appoggio politico e forniture militari, sottolineando le affinità tra Germania e il mondo arabo, soprattutto circa la posizione difensiva di fronte alla Gran Bretagna. Sebbene l'Ufficio di politica estera del NSDAP, il partito nazionalsocialista, fosse da tempo favorevole alle forniture belliche ai sauditi, queste ultime non ebbero luogo poiché la sezione politica del ministero degli Esteri era contraria. Solo nel 1939, in seguito al rafforzamento delle posizioni britanniche in Medio Oriente, Hitler e Ribbentrop assicurarono a Ibn Sa'ùd un concreto aiuto alla formazione di un suo esercito. Il 17 giugno il Führer promise all'incaricato del re saudita un aiuto attivo e due mesi dopo un credito di 6.000.000 di marchi fu accordato ai sauditi che volevano acquistare fucili, carri armati leggeri e pezzi antiaerei. La Germania offrì tali forniture col nullaosta di Roma, che aveva rapporti buoni, ma non certamente ottimi, col regno dei Sa'ùd dopo l'accordo anglo-italiano del 16 aprile 1938, con cui le due potenze europee «garantivano» l'indipendenza dell'Arabia. Il 1° settembre 1939 scoppiò la guerra e Berlino non poté procedere alle forniture, anche perché, dietro forti pressioni inglesi, l'Arabia Saudita fu costretta, l'11 settembre, a rompere le relazioni diplomatiche con il Terzo Reich. CANZANO 7- Tornando alla questione palestinese, potrebbe chiarirci meglio l’atteggiamento tedesco inizialmente favorevole all’emigrazione ebraica verso la Terrasanta? FABEI - Nei primi anni di regime Hitler, volendo liberarsi degli ebrei presenti in Germania, vide nella Palestina sottoposta a mandato britannico la meta verso cui indirizzarli: se questo poi serviva a creare difficoltà agli inglesi tanto meglio, per quanto Hitler temesse allora la Gran Bretagna, ritenendola assai più forte del Terzo Reich. Già dal 1933, desiderosa di favorire l'emigrazione ebraica dalla Germania e di indirizzarla verso la Palestina, l'Agenzia ebraica era pervenuta coi tedeschi a un patto, denominato Haavara (trasferimento), che prevedeva la partenza verso la Terra Santa degli ebrei tedeschi. L'accordo sembrò ai nazionalsocialisti un'ottima occasione per «purificare il Reich» e sbarazzarsi degli ebrei; i diplomatici della Wilhelmstrasse, tradizionalmente filoarabi, pur non condividendo la scelta, dovettero adeguarsi. Contrari erano anche i quadri dell'Auslandsorganisation e cioè della sezione del NSDAP da cui dipendevano le cellule in seno alle comunità residenti all'estero, riflettendo il punto di vista dei 2.000 cittadini tedeschi presenti in Palestina, che vedevano con orrore la prospettiva che gli ebrei cacciati dal Reich potessero insediarsi in Palestina e far loro concorrenza in varie attività. Tale politica non piaceva, ovviamente, nemmeno ai palestinesi e il Gran Mufti chiese a Hitler di interrompere il flusso migratorio e mettere fine all’insediamento sionista in Palestina. I nazisti, inizialmente convinti dell’incapacità degli ebrei a creare uno stato ebraico, nella seconda metà degli anni Trenta furono costretti a ricredersi e a constatare che l’insediamento sionista in Palestina era cresciuto sia di numero che di risorse. Dovettero prendere atto che la Commissione reale britannica guidata da Lord Peel, dopo una lunga indagine sul problema palestinese, aveva pubblicato nel luglio del 1937 un rapporto in cui raccomandava di dare parziale soddisfazione a entrambi i nazionalismi, sionista e palestinese, mediante una spartizione della Palestina mandataria e la conseguente creazione di due Stati, uno arabo e l’altro ebraico. Questo non era più soltanto il parto della fantasia sionista ma diventava una proposta concreta e l’oggetto di una raccomandazione contenuta in un rapporto del governo inglese. A siffatta mutata realtà i nazisti fecero seguire un diverso atteggiamento e se fino allora scopo preminente della politica della Germania era stato favorire il più possibile l’emigrazione degli ebrei, adesso dovettero rendersi conto che la formazione di uno Stato ebraico sotto tutela britannica non era nell’interesse della Germania, dato che non avrebbe assorbito l’ebraismo mondiale, ma creato, sotto leggi internazionali, un’ulteriore posizione di potere all’ebraismo internazionale, qualcosa come lo Stato del Vaticano per il cattolicesimo politico o Mosca per il Comintern. Pertanto l’opposizione alla creazione dello Stato sionista in Palestina comportò l’appoggio a chi tra gli arabi vi si opponeva. Vennero impartite da Berlino istruzioni alle sedi diplomatiche tedesche, esortandole ad assumere un atteggiamento favorevole verso gli arabi e le loro aspirazioni, senza tuttavia prendere impegni condizionanti. Tale cautela era ancora determinata dalla speranza di evitare una rottura definitiva con Londra e gli aiuti finanziari ai ribelli arabi, già elargiti con fondi dei servizi segreti tedeschi, continuarono a essere esigui e irregolari. Nel 1938 il patto di Monaco e la crisi cecoslovacca chiarirono inequivocabilmente che Londra e Berlino erano ormai su posizioni antitetiche, tali da comportare opposti schieramenti di campo nel caso dello scoppio di un conflitto. Da questo momento la propaganda tedesca s’intensificò esercitando una crescente influenza sull’opinione pubblica del mondo arabo, che vedeva nel Reich il nemico dei suoi nemici. Si rafforzarono i rapporti con il movimento nazionalista e con chi, come il Gran Mufti di Gerusalemme, dimostrava di essere un nemico irriducibile degli ebrei. Lo stesso Führer in più occasioni espresse ammirazione per gli arabi, la loro civiltà e la loro storia. Nel corso della conversazione a tavola con Keitel, ad esempio, la sera del 1° agosto 1942, Hitler, oltre a dichiarare la sua convinzione circa la superiorità della religione islamica rispetto alla cristiana, parlando della Spagna affermò che quella araba era stata «l’epoca d’oro della Spagna, la più civile». A questo apprezzamento del Führer corrispose l’ammirazione per il nazionalsocialismo da parte degli arabi. In un’opera autobiografica, il siriano Sami al-Jundi, uno dei primi capi del partito al-Ba’th, descrivendo lo stato d’animo che caratterizzava gli arabi negli anni Trenta afferma: «Eravamo razzisti, ammiratori del nazismo, leggevamo i suoi testi e le fonti della sua dottrina, specialmente Nietzsche…, Fichte e I fondamenti del secolo XIX di H. S. Chamberlain, tutto incentrato sulla razza. Fummo i primi a pensare di tradurre il Mein Kampf…». CANZANO 8- Parliamo adesso dell'Egitto nei piani del fascismo: protettorato, occupazione diretta o semplice inserimento nella propria sfera di influenza? I movimenti «filofascisti» egiziani erano più ricettivi alle sirene tedesche o a quelle italiane? FABEI - Molto tempo prima della guerra la propaganda dell'Asse aveva tentato di staccare la borghesia egiziana dalla sua alleanza con la Gran Bretagna e di attirare gli elementi nazionalisti delle classi meno abbienti alla sua ideologia. Mussolini agiva con la mediazione della famiglia reale, legata a casa Savoia, mentre Hitler era l'eroe dei giovani nazionalisti ostili all'Inghilterra. Fathi Radwan e Nureddin Tarraf, col loro gruppo di giovani dell'ex partito nazionale, e Ahmed Hussein, dirigente delle Camicie verdi del partito Misr al-Fatat (Giovane Egitto) assistettero nel 1936 a Norimberga al congresso del Partito nazista, nel quale cercavano ideali ed esempi di azione. Nel 1938 tornarono in Europa soggiornando oltre che in Germania anche in Italia, alla ricerca di appoggi e di finanziamenti. CANZANO 9- Quale fu l’atteggiamento degli egiziani di fronte al conflitto? FABEI - Allo scoppio della guerra l'Egitto era formalmente uno «Stato sovrano», con un proprio re, un proprio governo e un proprio esercito, ma il Paese faceva parte dell'Impero britannico: gli inglesi infatti controllavano direttamente il canale di Suez, stazionavano in Egitto con le proprie truppe e con il diritto di utilizzarne basi e risorse in caso di guerra. I seguaci e i simpatizzanti dell'Asse sfruttarono a fondo la crisi alimentare e l'irritazione sempre più viva provata dall'uomo della strada contro lo stato d'assedio e la trasformazione del Paese in base militare per il Middle-East Commando. Il governo egiziano, dietro la spinta dell'opinione pubblica, si rifiutò di entrare in guerra contro le potenze dell'Asse e tale atteggiamento continuò anche allorché le truppe italiane entrarono per la prima volta in Egitto. Si giunse addirittura all'assurdo che, mentre britannici, australiani, neozelandesi, sud africani e indiani difendevano l'Egitto dagli invasori italotedeschi, i 40.000 uomini dell'esercito egiziano si mantenevano neutrali, agli ordini di ufficiali che spesso non nascondevano le loro simpatie per l'Asse. La tensione aumentò all’inizio del 1942, quando, guidati da Rommel, gli italo-tedeschi penetrarono in territorio egiziano avanzando fino a el-Alamein, a ottanta chilometri a ovest di Alessandria. Questo fu visto dagli egiziani come il preludio a una «liberazione» dell'Egitto. Le manifestazioni contro la mancanza di viveri degenerarono in un'esplosione di sentimenti antibritannici al grido di «Vieni avanti Rommel!». Anche in questa occasione quindi gli egiziani non presero parte a quella che, in teoria, era la difesa del proprio territorio nazionale. Era evidente che se gli eserciti fascisti avessero raggiunto Alessandria il popolo e l'esercito egiziani sarebbero insorti come avevano fatto gli iracheni l'anno prima. Ufficiali, tra cui i giovani Nasser e Sadat, tentarono di mettersi in contatto col comando di Rommel per coordinare l'attività degli egiziani filofascisti con l'offensiva italo-tedesca. Gli alleati allora decisero di correre ai ripari e il mattino del 4 febbraio 1942 i tank inglesi circondarono il palazzo di Abidin imponendo a re Faruq un ministero presieduto da Mustafà al-Nahas. Vennero istituiti tribunali speciali e migliaia di «nazisti», nazionalisti egiziani e fratelli musulmani furono incarcerati come «agenti dell'Asse» o «elementi eversivi». Il 4 luglio i governi italiano e tedesco pubblicarono una dichiarazione per il rispetto dell'indipendenza dell'Egitto, dichiarandosi intenzionati a rispettarne e garantirne l'indipendenza e la sovranità. Le forze dell'Asse non entravano in Egitto come in un Paese nemico, ma con lo scopo di espellerne gli inglesi e di liberare il Vicino Oriente dal dominio britannico. La politica delle Potenze fasciste era ispirata al concetto che l'Egitto era degli egiziani: liberato dai vincoli che lo legavano alla Gran Bretagna il più importante Paese arabo era destinato a prendere il suo posto tra le Nazioni indipendenti e sovrane. Per l’intera durata della guerra in Egitto si registrarono attività filofasciste e antialleate: le Camicie verdi organizzarono il boicottaggio dei negozi stranieri, una radio clandestina operò al Cairo, membri dei comitati degli Ufficiali liberi fecero filtrare agenti nazisti attraverso le file alleate; altri egiziani, studenti in Europa e fuoriusciti, svolsero attività propagandistica al servizio del ministero degli Esteri italiano e del ministero della Cultura popolare, intervenendo spesso nella stampa italiana e tedesca con articoli e analisi. Più ancora che a mezzo stampa la loro attività propagandistica si attivò via etere, da Radio Bari e da tre emittenti minori: la Nazione araba, Radio Egitto indipendente e Radio Giovane Tunisia, ispirate rispettivamente dal Gran Muftì di Gerusalemme, dal principe Mansur Daud e da el-Tayeb Nasser, presidente della società Misr (Egitto) in Europa, e dal leader desturiano Habib Thammer. La fiducia degli egiziani andava comunque maggiormente ai tedeschi perché la Germania non aveva mai colonizzato aree abitate da musulmani ed era stata l'alleata dell'Impero ottomano. L'Egitto rientrava nella zona di interesse italiano indubbiamente, anche se sul suo futuro ordinamento le opinioni tra Mussolini, il ministero degli Esteri ed altri ambienti politici militari erano diverse... CANZANO 10- Solo nella seconda metà degli anni Trenta il regime fascista iniziò a connotarsi in senso antisemita: questa linea politica ha delle connessioni precise e individuabili con la politica filo-araba? Come mai, proprio da allora, si decise di interrompere il ventilato progetto di uno Stato ebraico nella regione dei falascià, gli ebrei neri d'Etiopia? FABEI - Mussolini cercò di giocare a suo vantaggio sia la carta araba sia quella ebraica. Tra il 1934 e il 1936 la politica filosionista dell'Italia ebbe finalità più che altro economiche e non conobbe, sul piano politico, né l'impegno né la molteplicità di articolazioni caratterizzanti quella verso gli arabi. Mussolini s’incontrò più di una volta con Cahim Weizmann e i capi sionisti che volevano portare gli ebrei in Palestina. Oltre che con quello di Weizmann ebbe rapporti con il Partito revisionista, l'ala destra del sionismo, il cui programma, piuttosto radicale e intransigente, presentava caratteristiche in qualche modo «fascistizzanti». Ma anche in quest'ambito l'atteggiamento di Mussolini s’improntò a grande prudenza nella consapevolezza che il violento atteggiamento di ostilità verso la Gran Bretagna, proprio delle rivendicazioni di questa componente estremista del nazionalismo ebraico, fosse in qualche modo utilizzabile ai fini della politica araba del regime solo se circoscritto entro limiti ben precisi. I legami dell'Italia con il sionismo, sempre nel biennio 1934-1936, subirono un progressivo allentamento; con lo scoppio della rivolta in Palestina e il conseguente moltiplicarsi delle manifestazioni di solidarietà panaraba sul Mar Rosso e nel Golfo Persico, la carta sionista perse presto valore, ma non al punto da essere del tutto scartata dal Duce che si proponeva di riutilizzarla qualora si fossero manifestate le circostanze favorevoli. I contatti con il sionismo e Weizmann ripresero nel giugno-luglio 1936, allorché, grazie al massiccio spiegamento delle forze britanniche, venne meno la possibilità che la rivolta si estendesse oltre i confini della Palestina. Terminata la guerra in Etiopia, l'Italia assunse un atteggiamento più aggressivo che sembrava poter minacciare le posizioni britanniche nel Mediterraneo e in Medio Oriente e quelle francesi in Tunisia e in Marocco. In questo contesto si inseriva la fortificazione del porto di ‘Assab, sullo sbocco meridionale del Mar Rosso, con cui l'Italia si garantiva una posizione strategica, rafforzata dagli accordi commerciali con l’Yemen dove la costituzione di reparti ospedalieri offriva una comoda copertura per attività antibritanniche di propaganda e spionaggio. Sembrava comunque rimanere la Palestina il principale obiettivo di Mussolini, il cui emissario a Ginevra, il marchese Theodoli, aveva dichiarato a Nahum Goldmann che il problema ebraico non avrebbe mai potuto essere risolto dagli inglesi. L'esigenza del focolare ebraico avrebbe potuto essere soddisfatta solo da Roma con una larga e immediata colonizzazione ebraica in Abissinia. Questo stesso disegno venne esposto al Cairo da Ugo Dadone, direttore dell'Agenzia per l'Egitto e per l'Oriente e del «Giornale d'Oriente». Egli inserì il progetto in un contesto imperialista e antibritannico, prospettando come inevitabile un conflitto anglo-italiano in tempi più o meno ravvicinati. Essendo il dominio del Mare Nostrum l'obiettivo di Roma, il disporre in Abissinia di 500.000 soldati italiani e di altrettanti di truppe di colore, cui si dovevano aggiungere i 150.000 in Libia, poneva l'Italia nella condizione di prendere l'Egitto e di espandersi ulteriormente. Per il consolidamento di tale posizione ci sarebbero voluti alcuni anni, ma la Gran Bretagna non sarebbe riuscita ad arrestare questo processo d'espansione dell'Italia, con la quale gli ebrei avrebbero dovuto collaborare. Roma – affermava Dadone – avrebbe mirato alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina, controllando l'Iraq e la Siria. Intanto gli ebrei avrebbero dovuto stabilirsi nell'area abissina del Gojjam. Era con ciò previsto un duplice obiettivo: il consolidamento italiano in Abissinia, e l'attrazione delle simpatie sioniste per Roma. Dadone era consapevole che una colonizzazione ebraica in Abissinia non poteva soddisfare gli ebrei il cui obiettivo finale era un altro. In cambio del sostegno ebraico alla colonizzazione dell'Etiopia l'Italia era, tuttavia, disponibile a permettere la creazione di un vero e proprio Stato in Palestina. Agenti italiani riformularono la proposta della colonizzazione ebraica in Abissinia ad altri capi sionisti. L'idea del focolare abissino era nata al gabinetto del ministero degli Esteri in seguito alle richieste che ebrei di tutto il mondo avevano formulato al Duce, cui avevano espresso solidarietà e offerto la propria disponibilità a raccogliere i fondi necessari a dar concreta attuazione al progetto. A metà giugno del 1936 il progetto fu abbandonato e Ciano, per volontà di Mussolini, dichiarò, d'accordo con il ministero delle Colonie, che il governo italiano non riteneva più opportuno dargli corso; pertanto si dovevano lasciar cadere le iniziative in tal senso intraprese e affermare, in termini generici, che lo studio della colonizzazione in Etiopia era stato appena iniziato da parte degli organi tecnici competenti, e che era quindi prematuro parlare di un'eventuale immigrazione ebraica. Questa inversione di tendenza fu determinata dalla freddezza con cui Weizmann aveva accolto la proposta e dal venire meno della sua fiducia verso l'Italia. Senza un accordo politico con il sionismo la colonizzazione ebraica dell'Etiopia se, da un lato, avrebbe comportato il vantaggio di una grossa speculazione finanziaria, dall'altro avrebbe compromesso sia la politica araba sia i rapporti con la Gran Bretagna. Questo non era quanto auspicato dal Duce che con il suddetto progetto aveva sperato di recuperare la carta sionista dando come anticipo il focolare etiopico e lasciando la Palestina agli arabi. In effetti, qualora fosse riuscita a realizzare un'intesa con Weizmann, l'Italia si sarebbe garantita la sua collaborazione per pacificare e sfruttare l'Etiopia, risolvendo in tal modo la contrapposizione fra la linea filosionista e quella panaraba. L'accordo con il sionismo avrebbe anche potuto garantire all'Italia l'appoggio degli ebrei quali mediatori presso Londra in vista dell'auspicato accordo generale. In funzione di quest'ultimo, nel corso del 1936, l'Italia cercò un riavvicinamento alla Gran Bretagna e alle altre democrazie occidentali, proponendo una distensione dei rapporti. Nello stesso tempo strinse i legami con la Germania, con la quale in ottobre creò l'Asse. Questa fu la duplice strategia di Mussolini il cui primario obiettivo era accrescere il prestigio e il peso dell'Italia, senza legarla – finché ciò fosse stato possibile – né a Berlino né a Londra e conservando a Roma la funzione di potenza mediatrice tra i due blocchi. Prima di una scelta definitiva l'Italia avrebbe dovuto continuare, con il suo «peso determinante», a essere l'ago della bilancia della politica in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Del resto queste due realtà geopolitiche non potevano essere considerate separatamente e a ribadire la loro inscindibilità all'inizio del 1936 Roma provvide dando vita, con la Germania, a una comune attività in Palestina il cui obiettivo era quello di sviluppare un'intensa opera di propaganda e alimentare attività sediziose. Mantenendo la leadership in questo ruolo, Roma nel corso dell'anno successivo, allargò il campo d'azione all'Egitto e al Medio Oriente. L'alleanza con la Germania, l'ostilità di molti antifascisti fuoriusciti ebrei nei riguardi del regime, e i sempre più stretti legami con la leadership nazionalista araba indussero il Duce ad abbandonare la carta del sionismo, individuato come strumento e alleato irrinunciabile della «perfida Albione». CANZANO 11- Lei ha scritto che l’Italia fascista fu il primo Stato europeo a sostenere in modo concreto la lotta di liberazione del popolo palestinese. In che modo il governo fascista aiutò la resistenza palestinese? FABEI - L’Italia fu il primo Stato europeo ad appoggiare la resistenza palestinese contro la potenza mandataria, cioè la Gran Bretagna, e contro i sionisti e il loro progetto di insediamento in Terrasanta. Tra il settembre del 1936 e il giugno del 1938 l’Italia versò al Gran Mufti, che guidava la rivolta contro le forze militari inglesi e contro l’immigrazione ebraica, circa 138.000 sterline, circa 10.000.000 di euro attuali. Tale contributo fu voluto dal Duce in ragione della posizione assunta dall’Italia nei confronti del nazionalismo arabo, e «per dar fastidio agli Inglesi», oltre che in omaggio alle posizioni anticolonialiste del Mussolini socialista rivoluzionario e del primo fascismo. Il ministero degli Esteri decise allora di inviare ai combattenti palestinesi, oltre al denaro, un consistente carico di armi e munizioni, in principio destinato al Negus ma acquistato in Belgio tramite il Servizio informativo militare, il SIM. Questo materiale, accantonato per quasi due anni a Taranto, sarebbe dovuto arrivare, tramite intermediari sauditi, ai palestinesi impegnati nella prima grande intifāda per abbattere il regno hascemita di Transgiordania, porre fine al protettorato britannico, bloccare l’arrivo di altri ebrei e quindi il progetto sionista in Terrasanta. Il denaro giunse a destinazione, non le armi e ciò a causa della paura dei sauditi di pregiudicare i loro rapporti con l’Inghilterra. BIOBIBLIOGRAFIA Nato a Passignano sul Trasimeno nel 1960, Stefano Fabei insegna all’Istituto Tecnico per le Attività Sociali «Giordano Bruno» di Perugia. Suoi saggi sono apparsi su «Studi Piacentini» e «Treccani Scuola». Collabora a «I sentieri della ricerca», «Eurasia» e «Nuova Storia Contemporanea».
Ha pubblicato: La politica maghrebina del Terzo Reich (All'insegna del Veltro, Parma, 1988) Guerra santa nel golfo (All'insegna del Veltro, Parma, 1988) Guerra e Proletariato (SEB, Milano,1996) Il Reich e l'Afghanistan (All'insegna del Veltro, Parma, 2002) Il fascio, la svastica e la mezzaluna (Mursia, Milano, 2002) Una vita per la Palestina. Storia del Gran Mufti di Gerusalemme (Mursia, Milano,2003) Mussolini e la resistenza palestinese (Mursia, Milano, 2005) Le faisceau, la croix gammée et le croissant (Akribeia, Saint-Genis-Laval, 2005) Les arabes de France sous le drapeau du Reich (Ars Magna, Nantes, 2005) I Cetnici nella Seconda guerra mondiale, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2006) Carmelo Borg Pisani: eroe o traditore? (Lo Scarabeo, Bologna, 2007) La «legione straniera» di Mussolini (Mursia, Milano, 2008) Di prossima uscita, per Mursia, «Barbarossa»: operazione preventiva o pura aggressione? giovanna.canzano@alice.it
martedì 27 ottobre 2009
Quella marcia che ancora divide gli storici
Pubblicato da admin in Opinione il 26 ottobre 2009
“OCCIDENTE”, un numero speciale monografico sulla Marcia su Roma. Questo il “preambolo” di Guido Virzì :La “Marcia su Roma” del 1922, che segnò la mossa finale e vincente di Mussolini e del movimento fascista per la conquista dello Stato, è uno di quegli eventi su cui ancora oggi storiografi e docenti si trovano in imbarazzo perché, nelle sue forme e nei suoi esiti è un Evento che non riescono bene né a comprendere, né a spiegare.Uno dei pochi che ci arrivò vicino fu lo storico Renzo De Felice; ma oggi in molti preferiscono far finta di niente. Si ritorna a parlare di “grande bluff”, di “connivenza del Re”, di “complicità nell’Esercito”, di “antifascismo colto di sorpresa”…Senza valutare che se un bluff “funziona” significa che l’avversario non ha gioco in mano ed è sfiduciato, timoroso, che non si sente all’altezza dello scontro.Cerchiamo di inquadrare: il fatto è che Mussolini gettò sul tavolo da gioco un Jolly che non s’era visto mai.. Mostrò forza senza usarla. Non una “manifestazione”, non una “sedizione” o una serie di “incidenti”. Ma un convergere massiccio di ex soldati in armi guidato da eroi di guerra, parlamentari, pluridecorati sulla Capitale per “chiedere”, per imporre un “cambio di registro” a fronte d’una Italia nel caos, in crisi economica e con una sinistra che giocava continuamente alla guerriglia,quanto bastava per intimorire o indignare, ma quanto NON bastava per vincere la partita né sul piano del consenso democratico e parlamentare, né su quello del dominio delle piazze.
S’è detto e s’è scritto mille volte, ed è un’immagine perfetta, che Mussolini, allora “calò” l’Asso di Bastoni;Ma fu un Asso di Bastoni assolutamente vincente perché Mussolini INVENTO’ una mossa assolutamente inedita e pensabile solo in quelle particolarissime circostanze storiche. Non una sfilata di reduci, non una semplice adunata attorno ad un vecchio capo militare (in Germania lo “Stalhelm” -elmo d’acciaio- aveva realizzato formidabili raduni paramilitari attorno ad Hindenburg -senza effetto). Ne fu solo una marcia”simbolica”, chè i fascisti entrarono a Roma IN ARMI, con la Capitale circondata da cavalli di frisia e filo spinato e con vari reparti del Regio Esercito in assetto da guerra. Oggi molti storici di sinistra ,da autentici sciocchi, si divertono a sostenere che “con quattro schioppettate” le colonne fasciste sarebbero state respinte e disperse. Come facciano a “saperlo” resta un mistero .Sicuro è invece che l’Esercito era pieno di nazionalisti e fascisti. E’ sicuro che avrebbero aperto il fuoco contro i loro commilitoni, contro i loro “fratelli nel sangue” ?Mussolini valutò esattamente la portata del rischio ,per tutti, ed indovinò esattamente come, gli Altri, di fronte al suo gesto sarebbero rimasti senza coordinate e privi di qualunque contromossa efficace. Spiazzati. Sì , la vecchia Italia liberale era una “pera decotta”, le precondizioni c’erano tutte. Ma Mussolini fu assolutamente un Genio politico. Perché INVENTO’ di sana pianta la sua arma vincente.E la usò con maestria (non basta avere carte buone per vincere una partita).E scrivendo la prima di tante pagine di storia che ,ancor oggi, che piaccia o no, sono ancora al centro del dibattito politico in pieno XXI secolo. Nessun argomento è straripante di bibliografia come il Movimento risultato vincente quel 28 Ottobre 1922. Nessuna via “liquidatoria” ,specie se sommaria, è decentemente percorribile ; si può pensarla come si vuole, ma occorre entrare nel merito. Capire, trarre lezioni, discernere. Non per fare “Apologia”, ma nemmeno interessata “Demonizzazione”.
martedì 20 ottobre 2009
domenica 4 ottobre 2009
domenica 6 settembre 2009
Stiamo sempre all’8 Settembre… e l’Italia resta una colonia USA!
Giovanna Canzano intervista ALBERTO MARIANTONI 6 settembre 2009
CANZANO 1- L’8 Settembre del 1943, l’Italia ruppe unilateralmente gli accordi con l’Asse (Italia-Germania-Giappone) e chiese ed ottenne l’Armistizio con gli Alleati anglo-americani. Come considera quell’avvenimento della nostra storia?
MARIANTONI - Intanto, non fu un “Armistizio” ma, una semplice resa incondizionata! Completamente estranea a qualsiasi tradizione legata alla guerra, la formula della “resa militare senza condizioni” era stata furbescamente ideata ed arbitrariamente imposta all’insieme degli alleati della Germania, dal Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, e dal Premier britannico Winston Churchill, nel corso della Conferenza di Casablanca (Marocco), avvenuta presso l’Hotel Anfa, dal 14 al 26 Gennaio 1943, ed alla quale aveva occasionalmente partecipato (senza esservi stato invitato) il Generale Charles de Gaulle, l’allora capo delle forze della cosiddetta Francia Libera. E quella capitolazione senza condizioni - lo ripeto, ingannevolmente fatta passare, agli occhi dei nostri compatrioti, per “Armistizio” … - era già segretamente avvenuta il 3 Settembre 1943, a Cassibile (Siracusa, Sicilia), sotto una tenda militare, con la firma accreditata, per l’Italia, del Generale Giuseppe Castellano, e quella del Generale americano Walter Bedell Smith, per la coalizione USA-GB. Il Maresciallo Pietro Badoglio (Capo del Governo italiano, dopo l’arresto di Mussolini, il 25 Luglio 1943) si decise a rivelarla agli Italiani, alle 19:42 dell’8 Settembre 1943, dalle antenne dell’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), dopo che il Generale Dwight David “Ike” Eisenhower (Comandante in capo delle Forze Alleate in Europa), l’aveva già fatto, alle 17:30 (18:30 ora italiana) dello stesso giorno, dai microfoni di Radio Algeri.
CANZANO 2- Che cosa rappresentò realmente quell’avvenimento, per il nostro Paese?
MARIANTONI - Sono passati moltissimi anni da quel nefasto 8 Settembre del 1943 … Ma il destino dell’Italia continua ancora oggi ad essere legato e cristallizzato a quell’infausto e catastrofico avvenimento. Inutile nascondercelo. Quella resa - nei termini e nelle condizioni in cui avvenne - non fu soltanto un’ignobile e vergognosa capitolazione militare. Fu soprattutto il peggiore dei flagelli che gli allora responsabili dello Stato e del Governo del nostro Paese potessero infliggere alla Storia della nostra Nazione ed all’avvenire del nostro Popolo.
CANZANO 3- Che cosa intende, in particolare?
MARIANTONI - Vede, quel giorno, purtroppo, non si accettò soltanto di venir meno alla parola data e di ‘tradire con viltà’ (to badogliate: il verbo che gli Inglesi coniarono espressamente per definire quel genere di tradimento!) tutti coloro che fino a quel momento avevano caparbiamente lottato fianco a fianco, nella medesima trincea, per cercare di liberare i Popoli “numerosi di braccia” dagli “affamatori che (ieri, come oggi) continuano ferocemente a detenere il monopolio di tutte le ricchezze della Terra”. Non si accettò unicamente di deporre momentaneamente le armi, per poi immediatamente ed illogicamente riprenderle in sottordine agli ex nemici del giorno prima, nella fallace ed ipocrita illusione di potersi trasformare in co-belligeranti (in proposito, vedere: http://www.funzioniobiettivo.it/medie_file/badoglio.htm#tre) e, quindi, “co-vincitori” di quella guerra. Non si accettò esclusivamente di cancellare, con un banale tratto di penna, l’appena ritrovata dignità di un popolo che - grazie al Governo Mussolini (1922-1943) - era miracolosamente risorto dalle sue ceneri, dopo essere stato ininterrottamente assoggettato, calpestato e deriso dall’insieme delle Nazioni d’Europa e del Mediterraneo, per ben 16 secoli. Quel giorno, insomma, gli ideatori ed artefici di quella resa, si comportarono come dei veri e propri rinnegati del loro Paese.
CANZANO 4 - Potrebbe essere più preciso?
MARIANTONI - Certo. La Monarchia sabauda ed il Governo Badoglio, in obbedienza alle clausole della resa dell’8 Settemebre 1943 e d’accordo con i loro nuovi padroni anglo-americani, commisero due atti imperdonabili: da un lato, ingiunsero scelleratamente alla Flotta italiana - (per saperne di più sul premeditato atteggiamento della Marina italiana durante il Secondo conflitto mondiale, vedere: Antonino Trizzino, “Navi e poltrone”, Mondadori, Milano, 1952; “Gli amici dei nemici”, Longanesi & C., Milano, 1959; “Sopra di noi l’oceano”, Longanesi & C., Milano, 1962; “Navi e poltrone”, edizione aggiornata e migliorata, Longanesi & C., Milano, 1963; “Settembre nero”, Longanesi & C., Milano, 1964; Romeo Bernotti, “Storia della Guerra in Mediterraneo - 1940-1943″, Vito Bianco Editore, Roma-Milano-Napoli, 1960; Pietro Caporilli, “L’Ombra di Giuda, Eroi e Traditori nella tragedia italiana”, Ed. Ardita, Roma, 1962; Angelo Iachino, “Tramonto di una grande Marina. La tattica e la strategia della nostra Marina nel Mediterraneo, durante l’ultima guerra”, Mondadori, Milano, 1966 ; Nino Bixio Lo Martire, “Navi e bugie”, ed. Schena, Milano, 1983; Gianni Rocca, “Fucilate gli Ammiragli - La tragedia della Marina italiana nella Seconda guerra mondiale”, Mondadori, Milano, 1987; Teucle Meneghini, “In Mediterraneo potevamo mettere in ginocchio l’Inghilterra”, Ed. Schena, Milano, 1999; E. Martini, A. Nani, “Navi che non combatterono”, Rivista Marittima, 2001; Carlo De Risio e Roberto Fabiani, “La Flotta tradita - La Marina italiana nella Seconda Guerra Mondiale”, De Donato-Lerici editori, Roma, 2002 ; Daniele Lembo, “Le portaerei del Duce, Le navi portaidrovolanti e le navi portaerei della Regia Marina”, Ed. Grafica MA.RO, Copiano, PV, 2004) - di consegnarsi volontariamente agli anglo-americani e, dall’altro - per distrarre il maggior numero di forze militari tedesche dai diversi fronti di guerra e creare insormontabili problemi logistici al III° Reich - sacrificarono proditoriamente, lasciandole allo sbando e senza ordini, il resto delle nostre Forze armate che furono quasi interamente disarmate e catturate dalla Wehrmacht.
CANZANO 5 - Potrebbe fornirci dei dati?
MARIANTONI - Senz’altro. Per quanto riguarda la Flotta italiana, questo l’elenco delle navi italiane che i Comandi della Marina consegnarono volontariamente agli anglo-americani, a Malta: (Corazzate) Giulio Cesare, Caio Duilio, Andrea Doria; (Incrociatori) Cadorna, Duca degli Abruzzi, Duca D’Aosta, Eugenio di Savoia, Garibaldi, Montecuccoli, Pompeo Magno; (Cacciatorpediniere) Da Recco, Velite, Artigliere, Grecale, Oriani; (Torpediniere) Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Aretusa, Ariete, Calliope, Carini, Fabrizi, Fortunale, Libra, Mosto, Orione; (Sommergibili) Alagi, Atropo, Axum, Bandiera, Bragadin, Brin, Corridoni, Galatea, Giada, Jalea, Marea, Menotti, Nichelio, Onice, Settembrini, Squalo, Turchese, Vortice, Zoea + H1, H2, H4; Nave esploratore Riboty; (Corvette) Ape, Cormorano, Manaide, Gabbiano, Minerva, Pellicano. Oppure, presso il Grande Lago Amaro, in Egitto: (Corazzate) Littorio/Italia e Vittorio Veneto. O ancora, a Ceylon: Sommergibile Cagni e Nave Coloniale Eritrea. Queste le unità che preferirono auto-affondarsi: (Incrociatori) Taranto e Bolzano; (Cacciatorpediniere) Zeno, Corazziere, Maestrale; (Torpediniere) Cascino, Ghibli, Lira, Montanari, Procione, Impetuoso, Pegaso; (Corvette) Berenice, Euterpe, Persefone; (Cannoniere) Lepanto e Carlotto; Posamine Buccari; (Sommergibili) Ambra, Ametista, Aradam, Argo, Murena, Serpente, Sirena, Sparide, Volframio; (Motoscafi anti-sommergibile) Mas-423, Mas-424, Mas-437, Mas-553, Mas-559; Dragamine R.D.13; (Navi Cisterna) Pagano e Scrivia; Posacavi Città di Milano; Nave trasporto Vallelunga; ecc.; Queste le navi che furono affondate dalla Marina o dall’Aviazione tedesche: Corazzata Roma; (Cacciatorpediniere) Da Noli, Vivaldi, Sella, Euro; (Torpediniere) Stocco, Sirtori, Cosenza; Sommergibile Topazio. Queste le navi che si rifugiarono nei porti neutrali spagnoli: Incrociatore Attilio Regolo, (Cacciatorpediniere) Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere + 5 unità minori. Alla “faccia” delle navi che non avevamo per contrastare adeguatamente lo sbarco anglo-americano di Pantelleria (capitolazione: 11 Giugno 1943); di Lampedusa (capitolazione: 12 Giugno 1943); in Sicilia (Licata-Gela-Marzamemi-Portopalo-Maucini-Pachino-Punta Castellazzo-Avola-Scoglitti-Siracusa-Augusta - “Operazione Husky” - 10 Luglio 1943 - fine dei combattimenti in Sicilia: 17 Agosto 1943); di Salerno (inizio dello sbarco: 8 Settembre 1943). C’è ancora bisogno di capire o di interpretare il significato ed il senso delle parole del successivo inno della Xª Mas: “Navi d’Italia che ci foste tolte, non in battaglia ma, col tradimento…”? E non si venga a dire che le nostre navi da guerra, pur numerose, mancavano comunque di nafta sufficiente per ingaggiare battaglia con la flotta anglo-americana! Come precisa Piero Sella - nell’articolo, El Alamein e la “guerra sbagliata”, L’Uomo Libero, N. 55, Aprile 2003, pag. 16 - “La marina aveva allora, nei suoi 32 depositi sparsi nei vari ancoraggi nazionali, oltre 2 milioni di tonnellate di nafta”!).
CANZANO 6 - E per quanto riguarda il resto delle Forze armate italiane?
MARIANTONI - Come sappiamo, i Tedeschi, nell’intento di fare fronte alla defezione italiana dai diversi fronti di guerra - con l’Operazione Achse (”Asse”) che venne lanciata alle 19:50 dell’8 Settembre 1943, dall’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) - riuscirono a catturare e disarmare ben 82 Generali, circa 13.000 ufficiali e 402.600 soldati italiani. Secondo altre fonti, si parla addirittura di un totale di 1.006.730 di prigionieri (Italia settentrionale 415.682; Italia centro-meridionale 102.340; Balcani 164.986; Grecia ed isole dell’Egeo 265.000; Francia 8.722). Il tutto, senza contare l’annientamento dell’intera Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia, in Grecia. Per maggiori informazioni su questi argomenti, vedere: Gianni Oliva, “I vinti e i liberati, 8 Settembre 1943 - 25 Aprile 1945″, Arnoldo Mondadori, Milano, 1994; Gerhard Schreiber, “I Militari Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich”, SME - Ufficio Storico, Roma, 1997.
CANZANO 7 - Tutto questo sacrificio, per liberarci dal Fascismo?
MARIANTONI - Io direi, soprattutto per permettere all’ultimo Re traditore e fuggiasco (e, da allora, fortunatamente, cancellato dalla Storia, con la sua dinastia!), a suo figlio il Principe ereditario (soprannominato “Stellassa” o “U’ ricchione con gli stivali”), al fellone Capo del suo Governo (già “Marchese del Sabotino”: leggi, del sabotaggio), ad una banda di Ammiragli, Generali e politici opportunisti o voltagabbana (tra i più noti: Raffaele De Curtain, Pietro d’Acquarone, Giacomo Zanussi, Mario Roatta, Paolo Puntoni, Antonio Sorice, Franco Maugeri, Bruno Brivonesi, Renato Sandalli, Giovanni Cuomo, Raffaele Guariglia, Umberto Ricci, Vito Reale, Gaetano Azzariti, Domenico Bartolini, Guido Jung, Pietro Parrone, Carlo Galli, Giovanni Acanfora, Leopoldo Picardi, Epicarmo Corbino, Carlo Favagrossa, ecc.), a diversi banchieri massoni (vedere, in proposito: http://www.italiasociale.org/articoli2006/notizie160106-1.html) notoriamente collusi con la Mafia (leggere per credere : http://www.liberamenteonline.info/index.php?option=com_content&view=article&id=727:storia-segreta-dello-sbarco-alleato-in-sicilia&catid=68:guerre-segrete&Itemid=106), ed a qualche sparuto e ben pasciuto oppositore (tra i più conosciuti: Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Benedetto Croce, Carlo Sforza, Giulio Rodinò di Miglione, Pietro Mancini, Palmiro Togliatti, Salvatore Aldisio, Quinto Quintieri, Taddeo Orlando, Antonio De Curtein, Adolfo Omodeo, Alberto Tarchiani, Fausto Gullo, Attilio Di Napoli, Francesco Cerabona, Vincenzo Arangio-Ruiz, ecc.) dell’appena spodestato Regime fascista, di salvarsi fisicamente le “chiappe” dalle immancabili e legittime rappresaglie dell’ex alleato germanico ingannato e tradito, mettendosi “coraggiosamente” al sicuro, dietro le linee di fronte dell’ex nemico, con l’accondiscendente e interessata complicità e protezione degli eserciti anglo-americani invasori. Questo genere di “gentiluomini”, per il loro tradimento (in certi casi, sin dal primo giorno di guerra!), verranno premiati dalla Coalizione alleata, con l’inserimento, nel Trattato di Pace di Parigi del 1947, dell’Articolo 16 che così recitava: “L’Italia non incriminerà né altrimenti perseguirà alcun cittadino italiano, specialmente gli appartenenti alle forze armate, per avere tra il 10 giugno 1940 e la data dell’entrata in vigore del presente trattato, espresso la loro simpatia per la causa delle Potenze Alleate o aver condotto un’azione a favore di detta causa”.
CANZANO 8 - Insomma, è su questa “celeberrima”, “gloriosa” ed “esaltante” pagina della nostra Storia che si fonda la cosiddetta Resistenza e la successiva restaurazione della democrazia parlamentare rappresentativa, nonché l’ulteriore nascita dell’attuale Repubblica antifascista?
MARIANTONI - Questa, purtroppo, è la realtà. Altro che i “miti resistenziali” che ci hanno interessatamente raccontato negli ultimi 66 anni! Non dimentichiamo, inoltre, che gli ideatori ed artefici della capitolazione dell’8 Settembre, non hanno soltanto infangato la Storia e l’Onore di tutto un Popolo. Hanno, soprattutto, intenzionalmente e perversamente accettato - senza nessun genere di mandato da parte del Popolo italiano - di rinunciare alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione ed alla sovranità politica, economica, culturale e militare della nostra Patria.
CANZANO 9 - E, poi, ci si meraviglia che, in Italia, non ci sia più, da allora, una memoria storica condivisa; una Patria comune; un senso ordinario dello Stato; una visione generalizzata e partecipata del dovere sociale; una volontà collettiva di vivere insieme e di portare, ognuno, la sua “pietra” al cantiere della Nazione, per il bene comune?
MARIANTONI - Le dirò di più. Ci si sbalordisce, ad esempio, che la politica - da “interesse generale di una società nei confronti, nei riguardi o nell’indifferenza di altre società” (Aristotele) - si sia trasformata, da allora, nel mio interesse di parte, contro il tuo; il tuo, contro il mio; il nostro, contro il loro; il vostro, contro il nostro o contro il loro, e così via, tutti facenti parte della stessa società. Che l’economia - da “arte di bene amministrare o di ben gestire quello che già posseggo, senza entrare in conflitto o contraddizione con l’interesse generale del popolo o della nazione di cui faccio parte” - sia diventata l’arte di arricchirsi individualmente, anche a discapito dell’interesse generale della società o, nella più parte dei casi, semplice sinonimo di fare esclusivamente i “propri affari” personali… ignorando, contrastando o sopraffacendo l’interesse economico generale del popolo e/o della nazione di cui si fa parte. Che il sociale - da “spazio di autocoscienza collettiva che, individualmente e collettivamente alimentato, permetteva ad ogni cittadino di essere, di esistere e di ricevere, senza per altro doversi mai umiliare o genuflettere nei confronti di nessuno” - si sia trasfigurato in quella giungla di egoismi reciproci, all’interno della quale, nella speranza di essere e di esistere, si cerca semplicemente di arraffare ciò che si può agguantare o abbrancare, e ci si rifiuta di dare o si fa finta di non potere accordare (o si tende a resistere con tutti i mezzi, per evitare di dover concedere) ciò che, invece, ognuno potrebbe senz’altro condividere, elargire o offrire.
CANZANO 10 - E che dire dei nostri “liberatori” di allora?
MARIANTONI - Gli Italiani, oggi, si stupiscono che i nostri “liberatori” del 1943-1945, abbiano, da allora, ampiamente dimostrato di essere i nostri più biechi ed invadenti colonizzatori politici, economici e “culturali”; che il nostro territorio nazionale continui, dal 1945, ad essere praticamente occupato da più di 100 basi ed istallazioni militari e logistiche Usa e Nato (si può vedere in proposito, il mio: Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum” - Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente, articolo, EURASIA - rivista di Studi Geopolitici, No. 3 - 2005, pp. 81-94; una mia rimessa a punto sul sito Eurasia, a proposito di alcune contestazioni: http://www.cpeurasia.org/?read=6655; Programma Matrix: http://www.youtube.com/watch?v=zta5359CHhA - e per averne la certezza: http://www.defenselink.mil/pubs/BSR_2007_Baseline.pdf - http://www.stormingmedia.us/83/8357/A835784.html - http://www.geocities.com/Pentagon/9059/usaob.html - oppure, per gli ultimi dati aggiornati al 2008, digitare su Google: Department of Defense Base Structure Report (BSR) FY 2008 Baseline - c’è un pdf da scaricare. Vedere ugualmente : Le basi USA in Italia 1ª parte - you tube - http://www.youtube.com/watch?v=ith_t0fXJWA - Le basi USA in Italia 2ª parte - you tube - http://www.youtube.com/watch?v=nxPCD6nallE&feature=related); che i nostri soldati siano diventati dei semplici meharisti/ausiliari di Us-Israel, a completa disposizione dei loro inconfessabili interessi e “ruschi” in Palestina, nei Balcani, in Iraq e/o in Afghanistan; che i partiti politici italiani (di Destra, di Sinistra, di Centro, di Centro-Destra e di Centro-Sinistra) siano tutti indistintamente asserviti al “partito americano”; che a seguito di due G-20 (Londra e L’Aquila - va da sé che il prossimo G-20, previsto a Pittsburgh per il 24 ed il 25 Settembre 2009, sarà la copia conforme dei precedenti!) - espressamente convocati per far fronte alla crisi economica in corso e tentare di mettere un freno agli imbrogli ed ai “tours de passe-passe” della Finanza internazionale (per evitare - così, ogni volta, ci viene assicurato! - che possano avvenire ulteriori e più catastrofiche rapine organizzate o nuove e più assurde “socializzazioni delle perdite” alla faccia e sulla schiena del contribuente) - non sia avvenuto nulla che lasci sperare in un migliore avvenire (al contrario, in Borsa - nonostante le recenti “sparate” dall’Eliseo - tutto continua a svolgersi come prima della crisi, se non peggio di prima!).
CANZANO 11 - Allora, non ci dobbiamo sorprendere se le uniche notizie dal mondo che ci è ancora concesso di conoscere sui media, sono quelle che interessano esclusivamente Washington e Tel-Aviv?
MARIANTONI - Purtroppo, non sappiamo nient’altro! Decine di guerre in Africa, in questo momento, e nessuno ne parla… A questo aggiunga che il “Signoraggio” ed i relativi arbitrari interessi, illegalmente pretesi dalle Banche di emissione sugli ordinari tiraggi di carta-moneta, continuano a rappresentare i nove decimi del nostro debito interno; che quando l’attuale Ministro dell’Economia e delle Finanze si era permesso il lusso (vista la crisi economica in corso) di proporre di tassare straordinariamente gli enormi guadagni della Banca d’Italia che erano stati automaticamente registrati da quest’ultima attraverso la rivalutazione borsistica dell’oro/metallo delle sue riserve (da 300 dollari l’oncia agli attuali all’incirca 950 dollari!), gli sia stato semplicemente risposto “picche”, con l’istantanea ed automatica “levata di scudi” ed il qualificato ed insindacabile avallo della Caryatis quirinalensis, degli abituali leccapiedi dei poteri forti di Bruxelles e degli gnomi della BCE.
CANZANO 12 - E che dire di Berlusconi che - dopo che si era pubblicamente cosparso la “testa di cenere” nei confronti del leader libico Gheddafi e l’aveva ricevuto in pompa magna a Roma, per cercare di assicurare un minimo di autonomia energetica all’Italia ed un po’ di lavoro per le nostre imprese in fallimento o in estrema difficoltà - sia stato immediatamente convocato a Washington?
MARIANTONI - E’ stato convocato a Washington, il pomeriggio stesso della partenza dall’Urbe del Beduino della Sirte, per la rituale “tiratina d’orecchi” (ah no, caro mio, così non va! Il Vicino e Medio Oriente, come lei sa, è una nostra “riserva di caccia”…). E, da quel momento - nonostante la sua infaticabile e volenterosa fedeltà ad Us-Israel - ugualmente sottoposto al sadico e vizioso “pilotto” della stampa (di centro, di centro sinistra e di sinistra), per le sue “innocenti” scappatine pecorecce, con sfacciati ed insistenti argomenti “calvinisti”… (tanto cari ai “puritani” di Londra e d’oltre Atlantico!) e l’implicito e premeditato (e… mal calcolato!) intento di costringerlo a dimissionare, per farlo rimpiazzare, come Primo ministro, dall’attuale Governatore di Bankitalia (un fedelissimo della Goldman Sachs: un nome, una garanzia!). Il tutto, naturalmente, senza dimenticare che il problema degli immigrati extra-comunitari provenienti dal Sud del Mediterraneo - Commissione europea dixit… - deve invariabilmente continuare ad essere risolto, solo ed esclusivamente dall’Italia. Come se “l’oceano di miseria” del mondo o soltanto dell’Africa e del Vicino-Oriente, potesse essere unicamente “digerito” ed assimilato dalla limitata capienza del “bicchiere” Italia!
CANZANO 13 - D’accordo, ma che c’entra tutto ciò, con la capitolazione italiana dell’8 Settembre 1943?
MARIANTONI - C’entra, c’entra… Altrochè se c’entra! Proviamo ad immaginare, per un attimo, quale avrebbe potuto essere l’avvenire dell’Italia, se tra il 25 Luglio e l’8 Settembre 1943 - invece di gettare frettolosamente e criminalmente, con “l’acqua sporca” di certi errori del Fascismo, anche il “bambino” dei suoi indiscutibili successi politico-economici, delle sue realizzazioni e delle sue, ancora oggi, insuperate conquiste sociali - si fosse realisticamente tentato di realizzare un’assennata e doverosa sintesi tra Fascismo ed Antifascismo, e tutti assieme, si fosse giunti alla sana ed equilibrata decisione di impiegare le comuni energie, per far fronte agli eserciti anglo-americani invasori (ed eventualmente - perché no! - anche per contrastare, ridimensionare o infirmare una certa arroganza tedesca), per avere comunque la speranza di potere ottenere, non dico una vittoria o un “pareggio” ma, quantomeno, una pace più ragionevole, con un minimo d’onore.
CANZANO 14 - “Del senno del poi - direbbe Alessandro Manzoni - ne son piene le fosse”!
MARIANTONI - Certo, e conosciamo ugualmente come andarono effettivamente le cose. Quel maledetto 8 Settembre, purtroppo - contro ogni umana logica ed ogni ordinario buon senso, e dimenticando che la Libertà, ad un Popolo, non la regala mai nessuno! - si preferì la “fazione”, alla Nazione. E tra i due “litiganti” (fascisti ed antifascisti), vinse l’imperialismo USA (da sempre, fedele mercenario della Finanzia internazionale cosmopolita). Un cancro che ancora oggi - in nome del libero mercato e della democrazia del numero - continua immutabilmente ad ammorbare, corrodere e consumare - oltre alla dignità dell’insieme dei popoli del mondo - i resti dell’antico tessuto connettivo della nostra Nazione.
CANZANO 15 - Come la Storia ci insegna, però, sappiamo altresì che “non è mai troppo tardi”…
MARIANTONI - Inutile nasconderci dietro ad un dito. Sappiamo benissimo che la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare dell’Italia e dell’Europa dipendono soltanto da noi e dalla volontà che avremo, in un prossimo futuro, di volerle collettivamente ed irriducibilmente riconquistare. Il va sans dire: senza distinzioni politiche o partitiche di sorta!
CANZANO 16 - …per concludere?
MARIANTONI - Per potere di nuovo sperare di essere libera indipendente e sovrana, l’Italia deve assolutamente riuscire a liberarsi dal tradimento e, con esso, da tutte quelle “comparse” che, ieri come oggi - in veste da valvassini o da valvassori (o da aspiranti tali…) ed in nome di quell’immondo e riprovevole 8 Settembre - continuano impunemente a governarci per conto terzi ed a gozzovigliare sadicamente sulle nostre spalle, come se l’Italia dovesse rimanere per sempre una Colonia statunitense e la Seconda guerra mondiale si fosse conclusa soltanto ieri.
BIBLIOGRAFIA ESENZIALE
Alberto Bernardino Mariantoni è nato a Rieti ( I ), il 7 Febbraio del 1947. E’ laureato in Scienze Politiche e specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni del Vicino Oriente, nonché Master in Vicino e Medio Oriente. Politologo, scrittore e giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per circa quindici anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed internazionali, come «Le Journal de Genève», «Radio Vaticana», «Avvenire», «Le Point», «Le Figaro», «Cambio 16», «Diario de Lisboa», «Caderno do Terceiro Mundo», «Evénements», «Der Spiegel», «Stern», «Die Zeit», «Berner Zeitung», «Il Giornale del Popolo», «Gazzetta Ticinese», «24Heures», «Le Matin», «Al-Sha’ab», Al-Mukhif Al-Arabi», nonché «Antenne2», «Télévision Suisse Romande», «Televisione Svizzera Italiana», ecc. E’ esperto di politica estera e di relazioni internazionali, con particolare riferimento ai paesi arabi e musulmani e dell’Africa centrale ed occidentale. Ha al suo attivo decine e decine di inchieste e di reportages in zone di guerra e di conflitti politici. E’ autore di oltre trecento interviste ai protagonisti politici ed istituzionali dei paesi del Terzo Mondo e della vita politica internazionale. Ha insegnato presso la Scuola di Formazione continua dei giornalisti di Losanna e, recentemente, presso lo I.E.M.A.S.V.O - Istituto ‘Enrico Mattei’ di Alti Studi sul Vicino e Medio Oriente di Roma. E’ stato Professore invitato presso numerose Università Europee e Vicino-Orientali. Ha scritto: «Gli occhi bendati sul Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991) e «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (ed. Pygmalion, Paris, 1992). Dal 1994 al 2004, è stato Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese. Per maggiori informazioni, vedere: http://aeternia.it/aeternia/abm/Alberto%20B.%20Mariantoni.htm - http://aeternia.it/aeternia/abm/Foto.htm
giovanna.canzano@email.it
mercoledì 26 agosto 2009
P.S. NON STO PARLANDO DI GESU’ CRISTO.
di Filippo Giannini
Tu, lavoratore italiano - e lo posso affermare con la massima sicurezza - da sessanta anni (e forse da qualche anno in più) - sei stato ingannato, truffato e derubato dei diritti (quelli reali) che Mussolini ti aveva assicurato.
Per illustrare il mio asserto voglio avvalermi di un comunicato, rilasciato alcuni giorni fa, dal Presidente Provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) del Veneto, pubblicato su “Il Giornale di Vicenza”. Il comunicato, a firma dell’on. Franco Bussetto, Presidente dell’Associazione, chiede scusa per l’eccidio di Schio commesso nel 1945 da
Secondo te, lavoratore, cos’è questo terrore della “revisone storica”? D’altra parte la Storia è soggetta ad una continua “revisione”, come attestano i più seri studiosi.
Si può “revisionare” la storia di Mazzini o Garibaldi, anche di Napoleone; addirittura, recentemente è stata “revisionata” la storia di Nerone; insomma, la storia di tutti i Grandi può essere “revisionata”, ma non di Mussolini e del Fascismo. Per questi, appena si pone qualche dubbio sull’autenticità dell’asserto che “la storia ha emesso la condanna definitiva e senza appello”, sorgono come anime dannate i “furbastri” i quali, per chiudere quelle corbellerie in cassaforte e renderle inattaccabili hanno posto a sentinella le leggi liberticide di Scelba, di Reale e di Mancino. Ma in quella cassaforte è rinchiusa anche la truffa che è stata perpetrata contro di te, lavoratore e ne garantisce la continuità.
Provo a spiegare i motivi del terrore che la parola “revisionismo” crea in un certo ambiente.
Tu, lavoratore, hai idea di quanto percepisce un parlamentare o senatore italiano, “un eletto dal popolo” e che dovrebbe essere al “servizio del popolo”? E le altre prebende che si sono “autoriconosciute”? I miei dati sono ripresi da un lavoro di Umberto Scaroni. E’ recente la notizia che il Parlamento ha votato all’unanimità (senza astenuti), un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa 1.135 Euro al mese. Inoltre la mozione è stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali. Operazione da banditi. I nostri “rappresentanti” percepiscono le seguenti somme: Stipendio base Euro 9.980 x 15 mensilità; “portaborse” (generalmente parente o familiare): Euro 4.030 al mese; rimborso spese affitto: 2.900 Euro al mese; indennità di carica: da Euro 335 circa a Euro 6.455 al mese. Biglietti stadio (tribuna d’onore, è ovvio); telefono cellulare, teatro, assicurazione infortuni ecc., tutto gratis e così a seguire, senza remora alcuna. Con Mussolini tutto ciò era impensabile: il deputato o il senatore di allora, percepiva un “gettone di presenza”, perché era considerato un “onore essere al servizio del popolo”. E Mussolini, se andava allo stadio, si pagava il biglietto come qualsiasi altro spettatore. Vogliamo ricordare che “il tiranno” morì poverissimo e lasciò la famiglia tutta nella miseria?
Cominci a capire perché “la storia ha condannato Mussolini e il Fascismo senza appello”?
E questa è solo una parte, anzi una frazione.
Ti hanno mai parlato di come i tuoi diritti fossero garantiti dalla “Carta del Lavoro” (1927), dalla “Camera dei Fasci e delle Corporazioni” (1939) e, infine, dal “Manifesto di Verona” (1943)? Ti hanno mai parlato della legge sulla “Socializzazione”? Certamente no, o, tutt’al più, per rinnovare la truffa ai tuoi danni ti hanno descritto il tutto per quello che non fu, celando, invece, quello che è stato.
Con la “Socializzazione delle Imprese” (primo passo per “Socializzare lo Stato”) Mussolini poneva come base ed oggetto primario il lavoro in tutte le sue manifestazioni, con una differenza sostanziale rispetto a quanto sancisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”; infatti questa lascia voi lavoratori alla mercé del sistema capitalista perché rimangono inalterati i rapporti fra capitale e lavoro. Invece lo “Stato del Lavoro Fascista” conferiva una assoluta preminenza del lavoro rispetto al capitale. Per maggior chiarezza, il capitale veniva accettato solamente quale strumento del lavoro.
Cos’è, allora, una “Azienda socializzata”?
Il “capitalista” che per produrre ricchezza per sé sfrutta al massimo il lavoro altrui, spinto da questa sua volontà di ottenere i massimi guadagni con minime spese, costringe il lavoratore al massimo rendimento riconoscendogli il minimo salario.
Tutto ciò era inaccettabile per Mussolini.
E’ spiegato, quindi, perché il grande capitalista, i grandi industriali, la grande finanza internazionale abbiano foraggiato i movimenti antifascisti, pagandoli centinaia di milioni (del valore di allora) per assicurarsi, a guerra finita, la soppressione di quelle leggi a loro tanto invise.
Cosa che avvenne: ancora si sparava quando i partiti antifascisti, come primo atto (25 aprile 1945) con legge a firma di Mario Berlinguer (padre di Enrico) decretarono la fine delle leggi sulla Socializzazione.
Benito Mussolini era un vero rivoluzionario, era l’uomo che i lavoratori attendevano da secoli, ma ha avuto la sventura di cozzare contro la pochezza di alcuni uomini e, soprattutto contro le invincibili lobbies economiche e finanziarie internazionali.
Brevemente vediamo come e perché queste “potenze” si coalizzarono.
Pochissimi italiani hanno letto l’indegno “Trattato di Pace” che ci fu imposto (Diktat) nel 1947 dai “liberatori” e i cui tentacoli sono ancor oggi attivissimi. L’art. 17 di questo “diktat” proibisce tassativamente la ricostituzione di partiti o organizzazioni “fasciste”.
Anche ad un lettore poco smaliziato un impedimento così chiaramente antidemocratico può apparire incomprensibile. “Può apparire”, ma per i “grandi manovratori del mondo” è una preclusione che li salvaguarda. Il Fascismo nella sua spinta rivoluzionaria stava investendo quei settori, come abbiamo poco sopra accennato, i cui poteri sono inattaccabili. Tutti sanno che, almeno all’epoca, il valore del denaro era vincolato all’oro. Mussolini aveva “osato” mettere in discussione questo dogma e si apprestava a capovolgerlo; cioè il valore della moneta sarebbe stato vincolato al potere del lavoro e della produzione. Dato che i principi del fascismo si stavano espandendo in ogni angolo del mondo (Mussolini negli anni ‘30 era l’uomo più popolare della terra), i possessori dell’oro, per parare il pericolo mortale, esercitarono il loro potere sull’apparato politico.
Assistiamo da anni ai grandi festeggiamenti per gli “anniversari dell’abbattimento del nazifascismo”. A prescindere che la Germania nazista poteva essere considerata solo un pericoloso concorrente commerciale - certamente a livello mondiale - ma niente di più, il vero nemico dei Paesi plutocratici (cioè dove le classi ricche sono egemoni nella vita pubblica) era il Fascismo: perciò ne fu decretata la morte.
Dal 1935 al giugno 1940 i “paesi democratici” misero in atto nei nostri confronti una serie di provocazioni per costringerci alla guerra, argomento che in questa sede non posso trattare perché esula dal tema, ma sulla cui esistenza ho ampia documentazione, e nella quale anche l’attestazione dello stesso Churchill.
E con la guerra fu la fine del Fascismo e l’inizio della grande truffa ai tuoi danni, lavoratore, perché fu bloccata una grande rivoluzione che poteva rappresentare un nuovo Rinascimento: “Il Rinascimento del Lavoro”.
E la truffa è ancora in atto; e affinché non perda di smalto, da ogni dove, di giorno, di notte, da destra, da sinistra, su “quell’uomo”, su “quel regime” vengono rovesciate menzogne: perché, come disse “qualcuno”,: ci sono uomini che debbono morire mille volte.
Quel che rende la cosa ancora più triste è che i profittatori, gli sfruttatori del tuo lavoro, per garantirsi la propria dorata esistenza, si sono avvalsi proprio di te, lavoratore.
domenica 26 aprile 2009
lunedì 23 marzo 2009
Per questo NOI VOGLIAMO:
Per il problema politico Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni. L’abolizione del Senato. La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato. La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro.
Per il problema sociale: NOI VOGLIAMO: La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro. I minimi di paga. La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria. L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici. La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti. Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni.
Per il problema militare: NOI VOGLIAMO: L’istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo. La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo.
Per il problema finanziario: NOI VOGLIAMO: Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera ESPROPRIAZIONE PARZIALE di tutte le ricchezze. II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi. La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’85% dei profitti di guerra.
venerdì 20 febbraio 2009
Questa dichiarazione, ovviamente, tende a giustificare il massacro per foiba.
Genti istriane, giuliane e dalmate, che tanto dolore avete procurato agli sloveni, NON DIMENTICATE!
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Ritengo opportuno iniziare questa contestazione riportando una dichiarazione di Francesco Saverio Nitti, costituzionalista, dichiarazione pronunciata il 27 luglio 1947, all’Assemblea Costituente (quindi in piena febbre antifascista):
Ciò premesso, passo all’articolo.
VERITA’ DI COMODO DEI SOLITI NOTI
di Filippo Giannini
Da tempo questo giornale ricorda la tragedia vissuta da tanti italiani dell’Istria e della Dalmazia. Ne approfitto per portare la “mia piccola pietra” che valga ad alimentare un ricordo e a denunciare una delle tante contraffazioni storiche.
Qualche tempo fa un lettore scrisse al giornale col quale collaboravo affermando che nel 1942, per ordine di Mussolini
Risposi che se fosse stato in grado di documentare l’asserto, avrei rivisto completamente la mia opinione su Mussolini. Lo stesso lettore fino ad ora non ha fornito quanto richiesto, né mai sarà in grado di farlo, tanto grossolana è la menzogna.
Dato, però, che Eraclito ammonisce
Dopo una breve visita all’Archivio dello Stato Maggiore Esercito, chiesi un incontro ad uno dei più validi studiosi del vicende dalmate, l’avvocato Oddone Talpo (purtroppo da tempo scomparso), autore della monumentale opera “Dalmazia – Una cronaca per la storia”. Le notizie da me raccolte dalle due fonti confermano quel che mi attendevo: quanto scritto dal lettore in questione, non solo è completamente falso, ma rappresenta addirittura un capovolgimento della realtà.
Inizio precisando che “l’isola prospiciente Fiume”, della quale si è accennato, era Arbe, oggi Rab.
Per la precisione storica, non è male rammentare che la Jugoslavia, concepita come Nazione, a tavolino, durante la conferenza della Pace del 1919 a Versailles, con chiaro intento anti-italiano, era composta da 14 etnie diverse e numerose minoranze, nonché da quattro antitetiche religioni. Ogni etnia e minoranza viveva (e vive) cementata dall’odio contro tutte le altre: cosicché da secoli quelle terre conobbero stragi di inusitata barbarie che portarono alla decimazione dell’etnia soccombente per opera di quella vincente, stragi oggi meglio conosciute come “pulizia etnica”.
Non è il caso, in questa sede di riportare i motivi per i quali l’Asse il 6 aprile 1941 invase la Jugoslavia, il cui esercito fu annientato in sole due settimane. Immediatamente si palesò l’impossibilità di portare la pace fra quei popoli così diversi gli uni dagli altri.
Sin dai primi giorni dell’occupazione varie bande slave locali erano più impegnate a sterminarsi fra loro che ad affrontare le forze occupanti. Cosicché la nostra 2° Armata – accolta con favore dalla popolazione civile – fu impiegata a frapporsi fra le varie bande onde evitare il compiersi di stragi. Poi vennero a formarsi le bande comuniste di Tito, foraggiate dall’Unione Sovietica obbedienti (in quel momento) agli ordini di Stalin.
Per cercare di pacificare quelle terre, il 7 giugno 1941 Mussolini nominò Giuseppe Bastianini (che si era già dimostrato valente diplomatico) Governatore della Dalmazia. Egli constatò immediatamente che la situazione era molto complessa: anche perché si trattava di governare un territorio che aveva per confinante l’”alleato” Ante Pavelic, capo degli Ustascia i quali, oltre tutto, non avevano accettato di buon grado l’occupazione italiana della Dalmazia.
Intanto le bande partigiane di Tito, dopo aver sterminato i cetnici del monarchico Mihajlovic, iniziarono una serie di azioni terroristiche contro le forze dell’Asse, ma anche contro i contadini colpevoli di non rispondere al reclutamento partigiano.
E’ poco conosciuta una direttiva del Primo Corpo Partigiano bosniaco, emessa nel 1943:
Verso la metà del 1941 iniziarono gli attentati contro le nostre truppe, causando decine di morti e feriti. A novembre 1942 fu effettuato un attentato che, per la sua efferatezza fu peggiore dei precedenti. Nei pressi di Capocesto (Spalato) vennero massacrati in una imboscata 21 soldati italiani (17 marinai e 4 genieri). Si può immaginare il disgusto e la rabbia che provarono i soccorritori quando, giunti sul luogo, videro i corpi dei propri camerati orrendamente straziati. Seguendo una “tecnica” prettamente slava ai morti erano stati strappati i testicoli e gli occhi e i primi erano stati inseriti nelle orbite vuote. Come reazione, che oggi possiamo definire inumana e irrazionale – ma allora comprensibile e legittimata dalle vigenti leggi di guerra – il generale Cigala Fulgosi, comandante della Piazza di Spalato, dette ordine di attaccare dal cielo e da terra Capocesto. Per il vile attentato pagò la popolazione civile che lasciò sul terreno 150 morti.
Quando Bastianini venne a conoscenza del fatto, impartì l’ordine di soccorrere e, per quanto possibile, riparare il danno subito dalla popolazione.
Durante la lunga lotta antipartigiana le nostre truppe catturarono migliaia di individui passibili, per le citate leggi di guerra, di essere passati all’istante per le armi. Il Tribunale Straordinario, appositamente istituito per la lotta contro i ribelli, emise solo 58 sentenze capitali, e di queste 47 eseguite. Gli altri partigiani furono inviati in appositi campi di internamento e, fra questi troviamo appunto, l’isola di Arbe alla quale il lettore aveva fatto riferimento.
Allo scopo di evitare nuove situazioni di pericolo per i nostri soldati, per ordine di Bastianini furono internate anche le famiglie dei ribelli.
Questi nuclei familiari vennero sistemati in baracche. Forse a causa dello scarso riscaldamento, oppure per il cibo insufficiente e non appropriato al clima, inasprito dall’imperversare della gelida bora, si verificò la perdita di 350-400 internati.
Sulle vicende dell’isola di Arbe ha scritto Rosa Paini, ebrea, nel libro “I sentieri della speranza”. A pag. 130:
Quindi nessun “massacro di donne e bambini” ordito da Mussolini, bensì un lodevole intento di salvare migliaia di vite umane.
Gli internati ad Arbe – e in molte altre località - slavi ed ebrei, dopo l’8 settembre ’43 caddero in mano dei tedeschi e degli Ustascia e la loro sorte fu tragica.
Ma questo è un altro discorso.
La storia di Arbe – divenuta in serbo-croato – Rab si arricchisce di un’appendice resa nota da un documentario trasmesso dalla RAI/TV l’8 luglio 1997: a Rab, nell’immediato dopoguerra, il “lager” era diventato uno dei più famigerati campi di sterminio di Tito. Il documentario ha attestato che nell’isola transitarono 30 mila persone: di queste 4.000 vennero bruciate o massacrate, molte si suicidarono, molte altre impazzirono.
Quella che abbiamo sinteticamente ricordato è una delle tante storie delle quali – per bassi motivi di politica – la verità è stata completamente capovolta.
Mi riprometto di tornare sull’argomento perché su questo, c’è molto, molto, ma molto altro da aggiungere. Altro che “il fascismo ha provocato molto dolore ali sloveni”.