martedì 22 aprile 2008

Lo scritto che segue è una fedele traduzione di un articolo del giornale “Berlin – Rome – Tokio” che fu stampato a Berlino il 15 dicembre 1940. Il brano testimonia, alla luce di un documento storico inoppugnabile, che non c’era, in quel periodo, alcuna volontà germanica di aprire un conflitto verso est, od anche di far scendere in guerra gli Stati Uniti d’America nel conflitto anglo germanico.
Lo stesso Hitler aveva proibito agli u-boote atlantici di ingaggiare combattimento col naviglio di scorta di battelli da carico statunitensi che occultamente rifornivano l’inghilterra di materiali ed armamenti, e ciò doveva avvenire, anche se questi li avrebbero attaccati.
kiriosomega
L’articolo che segue, fedelmente tradotto dal tedesco, ed integralmente riportato, apparve nella rivista:
MONATSSCHRIFT
FUR DIE VERTIEFUNG DER KULTURELLEN BEZIEHUNGEN
DER VOLKER DES WELTPOLITISCHEN DREIECKS
Zwischen Gestern und Morgen

Da quando Nazionalsocialismo e Fascismo sono apparsi nella politica internazionale, in virtù della loro energica azione è notevolmente diminuita la moltitudine dei focolai di disordine nel mondo democratico circostante. Gli sforzi correnti del nazionalsocialismo e del fascismo nel campo dei rapporti internazionali, e massime per il razionale assetto dei problemi territoriali europei, hanno fatto crollare il decrepito, antiquato edificio demo-massonico, in parte già sostituito da una nuova costruzione.
Le Nazioni e gli Stati che si trovano ancora fuori di questo riordinamento, si vedono oggi posti di fronte ad un problema che è decisivo per il loro destino; e vale a dire se essi vogliono vivere o no in armonia con l’Europa futura, o meglio con il mondo nuovo avvenire. E’ qui, che qua e là si trova quell’ieri che noi combattiamo nella nostra sfera ovunque si mostri. Talune Nazioni, per mera indecisione, non sono oggi né pro né contro, e si trovano così tra “ieri” e “domani”, e non sono elementi attivi e nemmeno ritardatari; sono gli esitanti d’oggi, i dimenticati isolati domani.
Se si vuole esaminare la questione (è oggi necessario esaminarla), a che cosa vada incontro l’Europa e con essa il mondo in seguito alla guerra con l’Inghilterra, in altre parole come si presenterà il domani, giova tenere sempre presenti i fatti seguenti, in base ai quali questo svolgimento non pure logico ma naturale e fortunato.
La storia dei nostri giovani popoli ridesti, è la storia del cammino verso il riordinamento del proprio essere, dei loro rapporti reciproci, e dei loro spazi vitali. La politica basata sull’idea del riordinamento raggiunge il suo apogeo il 27 settembre di quest’anno, quando il riassetto della vita e dello spazio sarà tratto dalla sfera delle affermazioni ideali e dichiarato principio e diritto dei nostri alleati.
Le pietre miliari del rinnovamento delle nostre Nazioni segnano le tappe su questo cammino, e non devono perciò essere considerate mere azioni egoistiche; poiché il programma della nostra rinascita era concepito a priori in grandi proporzioni internazionali, ben lontano dall’essere sempre un’autarchia nel vuoto politico.
Noi non abbiamo lasciato alcun dubbio circa la nostra concezione della vita sia del singolo sia dei popoli. Il Führer ha foggiato una dottrina della vita politica che dà al mondo una fisionomia nuova che rappresenta uno dei rari passi avanti dell’umanità. Il mondo democratico ed i suoi mandanti si atteggiarono da prima a stupore di fronte a tali atteggiamenti vivi e vitali, presi dal popolo dei poeti e dei pensatori, per passare poi al contrattacco contro un’ideologia giudicata pericolosa per loro.
Ci si era abituati a considerare “l’ieri” come uno stato di cose permanenti. Ne era espressione, non solo lo sforzo costante di fare del così detto status quo il comandamento supremo d’ogni politica ma anche erigere a dogma le concezioni britanniche, le valutazioni britanniche e il senso britannico della vita quale quintessenza dell’essere. Si era talmente abituati a considerare la dottrina politica della Gran Bretagna quale fattore caratteristico, che alla corte di San Giacomo si fece finta di cadere in deliquio quando il rappresentante del Reich nazionalsocialista, anziché fare una riverenza come una volta, usò il saluto che è per noi espressione di volontà rinnovatrice e connaturata con il nostro sentire. Non occorre alcun’altra prova per la balordaggine, l’ottusità e l’intolleranza della Gran Bretagna di ieri oltre a questo piccolo episodio avvenuto quando il ministro del Reich era ambasciatore a Londra. Esso era ad un tempo un sintomo di tutta la reazione inglese alla missione di Ribbentrop a Londra che mirava ad un’intesa con l’Inghilterra.
Si tratta ora di abbattere codesta mentalità “dell’ieri, poiché l’Inghilterra ha respinto ogni forma di limitazione volontaria ed ha scelto la violenza quale mezzo di decisione. E’ il fronte che contrappone “ieri” a “domani”.
Oggi ci troviamo nel secondo inverno di guerra, e l’Inghilterra vacilla sotto i colpi; e il suo sguardo è fisso all’America, donde Churchill non solo attende rifornimenti di materiale bellico, ma anche l’intervento in una lotta ormai decisa. Spettacolo miserando vedere il signor Lothian che corre dallo zio Sam, e cerca con frasi da imbonitore di dipingergli lo stato dell’Impero Britannico in modo da convincere gli Stati Uniti a puntare su un cavallo zoppo. E’ addirittura stupefacente con quale smisurata stupidaggine, leggerezza e cinismo i governanti britannici credono di poter contare sul popolo americano. L’America dovrebbe entrare in guerra a lato dell’Inghilterra contro il nuovo ordine, nel quale gli Stati Uniti potranno trarre maggiori vantaggi di quelli che un'Inghilterra anche vittoriosa, sarebbe in grado di offrir loro. L’America dovrebbe lottare così con “l’ieri” contro il “domani”, quantunque essa ed il suo futuro siano tutti rivolti verso al domani.
Ciò che fu per la Francia, fino al crudele risveglio, il mito della Marna, è per l’Inghilterra il mito del parallelismo tra il 1917 e il 1941. Ma anche gli inglesi dovrebbero sapere che la storia non si ripete e fin d’ora dovrebbero anche sapere che la Germania non è solo invincibile, ma tiene già la vittoria ferma in mano.
Il problema dell’aiuto americano si riduce ad una questione: a che livello gli anglofili di Wall Street abbiano fissato il conto passivo del popolo americano per i loro amori con la Gran Bretagna. Noi non sappiamo come sia valutata la sconfitta dell’Inghilterra nella contabilità dei banchieri ebrei, e neanche sappiamo quali secondi fini abbiano certe cricche americane in questa guerra europea. Ad ogni modo non vorremmo lasciarci sfuggire alcun’occasione per ripetere la nostra tesi, per quanto nota: la Germania non ha niente contro la nazione americana, e noi sappiamo che essa non ha niente contro il popolo germanico. La Germania ha sempre approvato la dottrina di Monroe come un saggio principio e perciò lo rivendica anche per sé (e i suoi amici fanno altrettanto) quale fondamento delle relazioni continentali di domani.
Le forme che assumono le liti per l’eredità tra America e il testatore inglese, per la mobilia in casa loro, a noi interessano soltanto nel caso in cui le liti dovessero accadere a nostre spese. Dopo che dall’America sono giunti al nostro orecchio tanti ammaestramenti ed apprezzamenti morali, desideriamo rilevare soltanto che la storia dell’avvenire non sarà determinata dal vinto e dai suoi complici platonici o pratici, bensì esclusivamente secondo le forze che creano il nuovo.
L’Inghilterra è in isfacelo. All’agonia dell’ieri britannico già si frammischiano le fanfare dell’ascesa, del domani che spunta. L’Europa prende nuova forma. I popoli giovani e i loro amici hanno fatto risuonare chiaro e lontano l’appello a partecipare all’avvenire. Questa marcia è la legge del secolo che viene, è l’idea del domani, che si tratta di accettare o negare. E’ per unirsi a questa marcia non è mai troppo presto, ma può ben essere troppo tardi.

La lettura di questo scritto, come già detto risalente al dicembre del 1940, testimonia, ove ce ne fosse la necessità, che la Germania non voleva la guerra sul fronte est, e nemmeno, ed anche questo qui è detto chiaramente, aveva alcuna intenzione di bellicamente competere con gli Stati Uniti.
Sperava, però, che questi non entrassero in guerra a fianco della Gran Bretagna anche perché non erano stati in alcun modo provocati.
Chi è perché fece scendere gli statunitensi in guerra?
Sì, proprio il loro malanimo, il loro senso di prepotenza e d’egoismo, la parentela ravvicinata con i britanni da cui: “Mal sangue non mente”. Ma soprattutto la tecnocrazia sionista con la complicità di Churchill.

lunedì 14 aprile 2008

Da ballata yiddish a inno partigiano
il lungo viaggio di "Bella ciao"
dal nostro inviato JENNER MELETTI
BORGO SAN LORENZO - In fin dei conti, svelare un segreto è costato solo due euro. "Nel giugno del 2006 ero al quartiere latino di Parigi, in un negozietto di dischi. Vedo un cd con il titolo: "Klezmer - Yiddish swing music", venti brani di varie orchestre. Lo compro, pagando appunto due euro. Dopo qualche settimana lo ascolto, mentre vado a lavorare in macchina. E all'improvviso, senza accorgermene, mi metto a cantare "Una mattina mi son svegliato / o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao...". Insomma, la musica era proprio quella di Bella ciao, la canzone dei partigiani. Mi fermo, leggo il titolo e l'esecutore del pezzo. C'è scritto: "Koilen (3'.30) - Mishka Ziganoff 1919". E allora ho cominciato il mio viaggio nel mondo yiddish e nella musica klezmer. Volevo sapere come una musica popolare ebraica nata nell'Europa dell'Est e poi emigrata negli Stati Uniti agli inizi del '900 fosse diventata la base dell'inno partigiano". E' stata scritta tante volte, la "vera storia di Bella ciao". Ma Fausto Giovannardi, ingegnere a Borgo San Lorenzo e turista per caso a Parigi, ha scoperto un tassello importante: già nel 1919 il ritornello della canzone era suonato e inciso a New York. "Come poi sia arrivato in Italia - dice l'ingegnere - non è dato sapere. Forse l'ha portato un emigrante italiano tornato dagli Stati Uniti. Con quel cd in mano, copia dell'incisione del 1919, mi sono dato da fare e ho trovato un aiuto prezioso da parte di tanti docenti inglesi e americani. Martin Schwartz dell'università della California a Berkeley mi ha spiegato che la melodia di Koilen ha un distinto suono russo ed è forse originata da una canzone folk yiddish. Rod Hamilton, della The British Library di Londra sostiene che Mishka Ziganoff era un ebreo originario dell'est Europa, probabilmente russo e la canzone Koilen è una versione della canzone yiddish "Dus Zekele Koilen", una piccola borsa di carbone, di cui esistono almeno due registrazioni, una del 1921 di Abraham Moskowitz e una del 1922 di Morris Goldstein. Da Cornelius Van Sliedregt, musicista dell'olandese KLZMR band, ho la conferma che Koilen (ma anche koilin, koyln o koylyn) è stata registrata da Mishka Ziganoff (ma anche Tziganoff o Tsiganoff) nell'ottobre del 1919 a New York. Dice anche che è un pezzo basato su una canzone yiddish il cui titolo completo è "the little bag of coal", la piccola borsa di carbone". Più di un anno di lavoro. "La Maxwell Street Klezmer Band di Harvard Terrace, negli Stati Uniti, ha in repertorio "Koylin" e trovare lo spartito diventa semplice. Provo a suonare la melodia... E' proprio la Koilen di Mishka Tsiganoff. Ma resta un dubbio. Come può uno che si chiama Tsiganoff (tzigano) essere ebreo? La risposta arriva da Ernie Gruner, un australiano capobanda Klezmer: Mishka Tsiganoff era un "Cristian gypsy accordionist", un fisarmonicista zingaro cristiano, nato a Odessa, che aprì un ristorante a New York: parlava correttamente l'yiddish e lavorava come musicista klezmer". Del resto, la storia di Bella ciao è sempre stata travagliata. La canzone diventa inno "ufficiale" della Resistenza solo vent'anni dopo la fine della guerra. "Prima del '45 la cantavano - dice Luciano Granozzi, docente di Storia contemporanea all'università di Catania - solo alcuni gruppi di partigiani nel modenese e attorno a Bologna. La canzone più amata dai partigiani era "Fischia il vento". Ma era troppo "comunista". Innanzitutto era innestata sull'aria di una canzonetta sovietica del 1938, dedicata alla bella Katiuscia. E le parole non si prestavano ad equivoci. "Fischia il vento / infuria la bufera /scarpe rotte e pur bisogna andar / a conquistare la rossa primavera / dove sorge il sol dell'avvenir". E così, mentre stanno iniziando i governi di centro sinistra, Bella ciao quasi cancella Fischia il vento. Era politicamente corretta e con il suo riferimento all'"invasor" andava bene non solo al Psi, ma anche alla Dc e persino alle Forze armate. Questa "vittoria" di Bella ciao è stata studiata bene da Cesare Bermani, autore di uno scritto pionieristico sul canto sociale in Italia, che ha parlato di "invenzione di una tradizione". E poi, a consacrare il tutto, è arrivata Giovanna Daffini". La "voce delle mondine", a Gualtieri di Reggio Emilia nel 1962 davanti al microfono di Gianni Bosio e Roberto Leydi aveva cantato una versione di Bella Ciao nella quale non si parlava di invasori e di partigiani, ma di una giornata di lavoro delle mondine. Aveva detto che l'aveva imparata nelle risaie di Vercelli e Novara, dove era mondariso prima della seconda guerra mondiale. "Alla mattina, appena alzate / o bella ciao, bella ciao, ciao, ciao / alla mattina, appena alzate / là giù in risaia ci tocca andar". "Ai ricercatori non parve vero - dice il professor Granozzi - di avere trovato l'anello di congiunzione fra un inno di lotta, espressione delle coscienza antifascista, e un precedente canto del lavoro proveniente dal mondo contadino. La consacrazione avviene nel 1964, quando il Nuovo Canzoniere Italiano presenta a Spoleto uno spettacolo dal titolo "Bella ciao", in cui la canzone delle mondine apre il recital e quella dei partigiani lo chiude". I guai arrivano subito dopo. "Nel maggio 1965 - cito sempre il lavoro di Cesare Bermani - in una lettera all'Unità Vasco Scansani, anche lui di Gualtieri, racconta che le parole di Bella ciao delle mondine le ha scritte lui, non prima della guerra, ma nel 1951, in una gara fra cori di mondariso, e che la Daffini gli ha chiesto le parole. I ricercatori tornano al lavoro e dicono che comunque tracce di Bella ciao si trovano anche prima della seconda guerra. Forse la musica era presente in qualche canzone delle mondine, ma non c'erano certo le parole cantate dalla Daffini, scritte quando i tedeschi invasor erano stati cacciati da un bel pezzo dall'Italia". "Una mattina mi sono alzata...". Fino a quando ci sarà ricordo dei "ribelli per amore", si alzeranno le note di Bella Ciao, diventato inno quando già da anni i partigiani avevano consegnato le armi. "Bella Ciao? Forse le cantavano - dice William Michelini, gappista, presidente dell'Anpi di Bologna - quelli che erano in alta montagna. Noi gappisti di città e partigiani di pianura, gomito a gomito con fascisti e nazisti, non potevamo certo metterci a cantare".
(12 aprile 2008)

venerdì 4 aprile 2008

GERVASO: “L’UOMO DELLA PROVVIDENZA”
Ed io ora sono sulla via della redenzione
di Filippo Giannini

O Cielo, grazie per averci inviato cotanto genio. Io, che stavo correndo l’infernale pericolo di morire “fascista” (orrore) sono stato ravveduto dalle parole, direi divine, di un uomo che ha illuminato la mia mente. Che le Sue argomentazioni siano ispirate dall’Onnipotente è fuor di dubbio. Il sant’uomo è riuscito a trascinarmi via dai binari del “male assoluto”.
Il Suo nome? Lo pronuncio con grande venerazione: Roberto Gervaso, il Profeta della Verità.
Che altro aggiungere se non citare le Sue parole? E’ una luce che proviene dai cieli, accesa per illuminare le nostre miserie, quelle degli ultimi infedeli. Prego coloro che hanno la fortuna di immergersi nella Verità “gervasana” di apprezzare la scientificità, la profondità di ricerca e, soprattutto, l’originalità (è quel che più ho apprezzato: “l’originalità”) del Suo dire.
Ecco, allora, il novello Mahatma rispondere ad una precisa domanda di un lettore de “Il Messaggero” del 1° aprile di quest’anno, aprendo la Sua scienza con questo primo lodo: “Un politico che non cambia idea, non ha idee”. Che fortuna per Gianfranco Fini essere consacrato da cotanta autorità.
Ma sento il dovere di numerare il Suo argomentare che bolla, senza possibilità di appello alcuno, tutte le azioni del “povero” Duce:
1) l’Italia uscita da una guerra sbagliata (…);
2) Illuso di riportare sui “colli fatali” di Roma l’Impero dei Cesari (…);
3) Gli alleati ci hanno liberato (…);
4) (Gli alleati) sono diventati i garanti della nostra indipendenza (…)..
Prego notare il cristiano sentimento del nuovo Messia che non ha voluto infierire più di tanto su un uomo (il male assoluto) che ha causato a questo infelice Paese tante disgrazie. Non ha voluto, ripeto, da buon cristiano, rammentare i danni prodotti dal “Regime grottesco e persecutorio”(sono le sagge parole del “sommo”): le quaranta ore settimanali, le ferie pagate, le città costruite a danno delle zanzare (poveri insetti perseguitati), il risanamento economico, l’INFPS, gli acquedotti e i mille altri danni causati da quell’infernale regime. Ma l’originale favella del redivivo Gandhi si sofferma sulla “guerra sbagliata”. Percezione sublime.
Pensate che nel mio errare sono stato anche autore di una collana che ha avuto per titolo: “Benito Mussolini – l’uomo della pace”. O malsano errore, o me satanico, come riparare a cotanto male?
A mo’ di scusante posso sostenere che sono stato fuorviato da coloro che ritenevo santi uomini, o esponenti del sapere.
Non oso chiedere il perdono, ma almeno essere giustificato per la mia dabbenaggine citando le argomentazioni di coloro che credevo essere uomini santi o di scienza. Questo sino a quando non ho avuto la fortuna di incontrare i più che saggi argomenti del Mahatma italiano, Roberto Gervaso.
Ecco i motivi del mio errare:
1) Chi poteva, sino ad ora, dubitare della santità di Giovanni XXIII, che il 28 marzo 1941 così scrisse al fratello Giovanni: . Con queste parole Giovanni XXIII merita il castigo eterno? E che dire dell’altro Pontefice, Pio XII, che osò proferire questi “versi satanici”: Mi auguro solo che il Gervaso possa intercede, per entrambi gli empi, presso il buon Dio e mettere una buona parola; date le sue relazioni in quell’ambiente.
2) Come potevo io immaginare che l’operazione “Colli fatali” fosse cosa malvagia, quando eminenti personaggi, almeno tali li ritenevo, come la Regina Elena, il poeta Raffaele Carrieri, Guglielmo Marconi, Vittorio Emanuele Orlando, Massimo Rocca, Arturo Labriola, Benedetto Croce, Luigi Albertini e mille altri che si schierarono con il Malvagio per “riportare l’Impero sui colli fatali di Roma”? E Palmiro Togliatti (altro sant’uomo), che in quell’occasione inviava, tramite il giornale “Potere Operaio”, questo messaggio ai “Fratelli in Camicia Nera: . Ed io che sono un “povero bischerino” come potevo sapere da quale parte era la Verità? D’altra parte non c’era Roberto Gervaso ad indicarmela.
3) Fortuna che c’è il nuovo Mahatma a togliermi dall’errore. Sì, è così: “gli alleati ci hanno liberati”. E’ così lampante che ne fui accecato: più liberati di così si muore. E’ sufficiente leggere il Trattato di Pace del 1947! Quel Trattato è chiaro: siamo stati liberati di tutto, della Libia, della Somalia, dell’Eritrea, del Dodecaneso, della Dalmazia, dell’Istria, dalla Flotta ecc. Solo ora, grazie all’”Illuminato” posso gridare: “Viva i Liberatori e abbasso Giuseppe Mazzini (pensate che pazzo, ma a sua giustificazione c’era la non conoscenza di Roberto Gervaso): diffidava della libertà portata dagli stranieri”.
C’è stata una sentenza emessa dall’irlandese Bernhard Shaw che accompagnava il mio turbamento, ed è la seguente: “Gli Stati Uniti sono l’unico Paese occidentale ad esser passati da uno stato di barbarie ad uno di decadenza senza essersi fermati in quello della civiltà”. E’ certo che Roberto Gervaso, dall’alto del Suo sapere, saprà correggere questa stortura.
4) Sì, ora la vedo chiara. “Gli Alleati sono diventati garanti della nostra indipendenza”. O alma, o nobile anima inviata dai Cieli ad illuminare questo povero bischerino che non sapeva vedere. Grazie agli Alleati, siamo stati inviati (certamente in missione di pace, chi lo può più sospettare?) a portare la stessa garanzia d’indipendenza in Iraq, in Afghanistan, in Serbia, e così di seguito in tanti altri fortunati Paesi. E pensate, voi che leggete, che sino a quando non ho avuto modo di conoscere l’angelo portatore della “Novella Annunciazione”, credevo (o somma ignoranza) che Bush avesse richiesto l’invio della nostra “missione di pace” per rubare (provo vergogna a confessarlo), sì, per rubare il petrolio lì dove si trova e dirottarlo negli Usa.
Ma ora capisco anche il motivo per cui i cari Alleati tengono sul territorio italiano 130 basi militari nelle quali sono custodite una novantina di bombe nucleari del tipo B-61. Cosa pensavo sino ad ieri? Tutto sbagliato. Gli americani (sante persone) sia le basi, sia le bombe le tengono per proteggere la nostra indipendenza.
Chiedo perdono per la “mia stitichezza mentale”. Ma ora è tutto risolto, mi sento più leggero. Ancora una volta, grazie a Roberto Gervaso che con la Sua scientificità storica è come se avesse purgato la mia mente con l’olio di ricino.

mercoledì 2 aprile 2008

Hitler e Mussolini discorso alla Germania

IL FASCISMO RISORGE DALLE CENERI COME LA FENICE

Recensione di Renzo Morera James Gregor, Phoenix: Fascism in Our Time, introduzione di Alessandro Campi. New Brunswick, N.J.,1999. Pp. 204. $32.95. L’interessante volume è stato segnalato e recensito da Renzo Morera su “Acta” N° 65, di gennaio – marzo 2008. La feconda produzione di A. James Gregor è apprezzata negli ambienti scientifici di tutto il mondo per la ricchezza delle fonti, la minuziosità delle ricerche, l’onestà, l’obiettività delle conclusioni nonché per le sue folgoranti intuizioni. Il titolo del libro Phoenix (Fenice) ne sintetizza plasticamente il contenuto. Dopo aver studiato il fascismo nella sua attuazione storica, Gregor individua ora non solo i luoghi e i momenti in cui è rinato - novella Fenice – dalle proprie ceneri dopo la sconfitta del 1945, ma riesce ad enucleare quei tratti del fascismo che – per la loro vitalità – stanno dimostrando di essere idonei a dare valide risposte a certe vitali esigenze dell’epoca attuale. Il testo gode di una densa introduzione del prof. Alessandro Campi, docente dell’università di Perugia. L’Autore esamina nelle prime 26 pagine alcune categorie in cui il fascismo può essere inquadrato e le espone con obiettività. Particolarmente importanti sono i capitoli che, al di fuori e al di là della vulgata corrente, offrono al lettore utili chiavi di interpretazione per comprendere il fascismo e per capire ciò che il medesimo è stato nelle realtà. Dopo un’attenta analisi dei movimenti che – a diverso titolo – hanno costituito le radici culturali del fenomeno (nazionalismo, sindacalismo nazionale, futurismo), il Gregor identifica nel fascismo la sintesi di tali movimenti. Segue una complessa indagine dell’oggi dimenticato sindacalista rivoluzionario Roberto Michels di cui viene sottolineata la modernità del pensiero. A quella su Michels segue un’analisi altrettanto completa ed approfondita della filosofia di Giovanni Gentile e della sua incidenza sulla dottrina del fascismo italiano. Particolarmente pregnanti sono le osservazioni tra totalitarismo e corporativismo nonché su quelli tra marxismo, masse ed élites (pp. 97-101). Ma non solo il pensiero di Michels e di Gentile è oggetto dell’indagine del Gregor. Anche gli scritti di Sergio Panunzio vengono esaminati in profondità in quanto l’Autore li considera quali contributi imprescindibili qualora si intenda lavorare sulle nozioni di fascismo e di totalitarismo. Le pagine forse più affascinanti del volume sono quelle dedicate all’identificazione di elementi tipici del fascismo presenti nel nuovo nazionalismo russo (pp. 145-170) con interessanti riferimenti alle tendenze in corso in Cina. Dopo obiettive ricerche sul nesso esistente tra rivoluzione e crimini contro l’umanità. Ideologia e omicidi di massa, rivoluzione ed ideologia, l’Autore dedica i capitoli finali ad un’originale ed innovatrice riflessione su quale sarà il ruolo del fascismo nel nostro futuro e sul fascismo come, appunto, fenice risorgente dalle sue ceneri. Trattasi di uno studio la cui lettura è indispensabile per chiunque intenda esaminare in modo scientifico la realtà del fascismo nel passato, nel presente e soprattutto nel futuro.James Gregor conferenze presso UC Berkeley nel 2004James A. Gregor (nato il 2 aprile 1929) è un professore di scienze politiche presso l’Università della California, Berkeley ben noto per le sue opinioni sulle questioni di sicurezza e il fascismo.